Il “piano Meloni” sulla rete Tim è al momento un raro spunto specifico di campagna elettorale. La leader FdI ha voluto stare al gioco dei rumor diffusi a Ferragosto da Bloomberg su una possibile Opa della Cassa depositi e prestiti su Tim. Sarebbe questa l’ipotetica “fase uno” di una rinazionalizzazione della rete fissa che sarebbe appunto nei “desiderata” del centrodestra. Meloni ha confermato che è questa la direzione di politica industriale che intende seguire se diventerà Premier. La digitalizzazione del sistema-Paese (assunta come direttrice strategica dal Pnrr) imporrebbe questa grande opzione in un quadro geopolitico divenuto incerto per ulteriori spinte globalizzatorie.
La Borsa, dal canto suo, ha già “festeggiato” sulle voci: facendo schizzare il titolo Tim, da tempo depresso. Le tecnicalità finanziarie dell’operazione appaiono tuttavia ancora indefinite. Sulla carta – a numeri correnti di Borsa e di bilancio Tim – far comprare tutta la società a Cdp (già azionista al 9,8%) attraverso un’offerta di mercato sarebbe più diretto e conveniente che rilanciare uno scorporo della rete: regolarmente arenatosi in passato su problemi di valutazione. Lo stesso azionista di maggioranza relativa (23,7%) – la francese Vivendi – sarebbe probabilmente meno rigido di fronte a un prezzo d’Opa accettabile (o almeno contrattabile) per mollare la presa in Tim, piuttosto che di fronte all’obbligo di dire sì o no a uno scorporo della rete sollecitato dal Governo. Tim non è Atlantia: che – di fronte al pressing del Governo Conte-2 sulla famiglia Benetton dopo il disastro Morandi – ha potuto alla fine rivendere Autostrade a Cdp (peraltro non attraverso la Borsa) allontanando lo spettro della revoca-concessione ed estendendo la soddisfazione finanziaria agli investitori privati in Aspi e in Atlantia stessa.
Nell’attesa del voto del 25 settembre, gli interrogativi restano in ogni caso più politici che finanziari. Il primo riguarda senz’altro un nuovo possibile intervento della Cdp nei panni di “nuova Iri”: con tutti i dubbi già sollevati nel caso-Autostrade o nelle ipotesi di ingresso della Cassa sui dossier Ilva o Alitalia. La Cdp non amministra fondi pubblici, ma decine di miliardi di risparmi privati raccolti dalle Poste. Non è una Spa quotata, la Cassa, ma le Fondazioni azioniste partecipano al capitale a fianco del Mef a fronte di precisi impegni di sana e prudente gestione e di redditività. Un’Opa di Cdp su Tim rappresenterebbe quindi un banco di prova del massimo impegno per il neo-statalismo cui Meloni sta ispirando trasparentemente il suo programma economico: citando fra l’altro – non a torto – il nazionalismo industrial-finanziario della stessa Francia.
A cavallo fra politica, finanza e industria dietro al piano Meloni emergono d’altronde tutti i profili che caratterizzarono già quindici anni fa il “piano Prodi” sull’allora Telecom: il primo tentativo di scorporo e rinazionalizzazione della rete tlc. Quel piano (mediaticamente noto come “piano Rovati”, dal nome di un consulente personale del Premier) era originato dalla difficile situazione di Telecom, controllata dalla Pirelli.
Il “campione nazionale” delle tlc – privatizzato dal Prodi-1 – non si era più ripreso dalla “madre di tutte le Opa” (patrocinata dal Governo D’Alema): neppure dopo che Roberto Colaninno e la sua “razza padana” avevano gettato la spugna, travolti dai debiti accumulati dall’assalto a leva. L’obiettivo immediato era quindi rimettere in sicurezza economico-finanziaria Telecom, facendo ricomprare la rete allo Stato (già allora muovendo la Cdp) e tamponando sul piano politico il fallimento della più importante privatizzazione realizzata dal centrosinistra. Ma in anni ancora caratterizzati da una transizione graduale fra tlc & media tradizionali e web, il “piano Rovati” guardava con attenzione anche a “Telecom senza rete”: una società di servizi che avrebbe potuto integrarsi bene con gruppi media tradizionali o innovativi. Per questo, nell’autunno 2007, un gossip circostanziato citò dapprima Sky (colosso della tv satellitare di Rupert Murdoch) e poi Rcs (cui partecipava Pirelli) come possibili candidati a una partnership in una media company di nuova generazione. Il magnate sudamericano Carlos Slim avrebbe invece potuto farsi carico principalmente delle attività “old” nella telefonia fissa.
Di quel piano non si fece poi nulla: anche dopo che negli stessi mesi il Prodi-2 aveva dovuto faticosamente bloccare la rivendita alla spagnola Abertis delle Autostrade, privatizzate appena dieci anni prima dal Prodi-1 presso i Benetton, praticamente “ad familiam”.
Nel 2022 il gioco delle analogie e delle differenze rispetto al 2007 non si presenta privo di spunti. Il “piano Meloni” prende atto che Tim è sempre in crisi e rimane un dossier-Paese – pur essendo una public company quotata – perché controlla ancora la rete. Quest’ultima è ancora un cantiere aperto – in termini di trasformazione e investimenti – nonostante nove anni di “centrosinistra di fatto” al Governo abbiano ripetutamente provato a sbloccare l’impasse (anzitutto col piano OpenFiber, con un ruolo crescente della stessa Cdp). L’operazione Autostrade – pur controversa – ha segnato dal canto suo una svolta concreta nella ristatalizzazione di settori strategici: e l’ha promossa il centro-sinistra “giallorosso”, che difficilmente potrebbe contestare a Meloni Premier di seguire quelle tracce, soprattutto in era-Pnrr.
Se è indubbio che un’Opa Cdp su Tim consentirebbe a una futura “amministrazione Meloni” di entrare subito nelle stanze dei bottoni di due realtà di massimo livello nell’Azienda-Paese, restano da capire i possibili effetti collaterali: quelli che nel 2007 avrebbero potuto coinvolgere Sky e Rcs. Quindici anni dopo non c’è dubbio che la “media company” italiana bisognosa di una stabilizzazione sia Mediaset, di cui è azionista importante – e non più ostile – la stessa Vivendi. Non vi sono dubbi anche sul fatto che una “maggioranza Meloni” – costruita anche sul ruolo di Forza Italia – metterebbe difficilmente mano subito alle normative che tuttora proteggono il singolare oligopolio italiano nel settore dell’informazione. Ma l’Ue preme da anni per aprire e modernizzare un ordinamento anacronistico: soprattutto quando procede un faticoso aggiustamento fra Bruxelles e i giganti Usa della Rete. E Mediaset stessa (polo della tv generalista tradizionale) è da tempo in stallo nei suoi tentativi di dare respiro almeno europeo a un business pre-web. Per questo gli analisti al lavoro attorno a “Tim di Cdp senza rete” – essenzialmente attorno alla liquidazione degli altri asset – forse non faranno male a formulare ipotesi creative per lo sviluppo del “piano Meloni”. Così come nel 2007 provò a fare Prodi.
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