Un cadavere eccellente venuto a galla sul mar Baltico rischia di allungare ombre almeno politicamente insidiose sul vertice della Commissione Ue appena ricostituita: dove due fra i tre vicepresidenti esecutivi della tedesca Ursula von der Leyen sono la danese Margrethe Vestager e il lettone Valdis Dombrovskis. Entrambi provenienti da quel Nord Europa baltico – totalmente gregario di Berlino – che si sta confermando il teatro inquietante del più grave caso di riciclaggio internazionale mai emerso. Ora degenerato in crime story.



Alvar Rehe – il banchiere estone trovato morto ieri nella sua casa di Tallinn,  “apparentemente suicida” –  era stato dal 2006 al 2015 capo della filiale locale della Danske Bank. La più grande banca di Copenaghen si è ritrovata già un anno fa al centro di un maxi money laundering stimato in oltre 200 miliardi di euro. Secondo le investigazioni condotte principalmente dalla Sec americana – non dalle authority Ue – i fondi illegalmente transitati verso ovest provenivano da vari Paesi dell’ex Unione Sovietica (anzitutto l’Azerbaijan). Ma le inchieste hanno guardato fin dall’inizio a possibili coinvolgimenti di altri Paesi, come la Corea del Nord.



Aggirando i controlli antiriciclaggio, i fondi venivano reindirizzati in un fittissimo reticolo di conti offshore, in cui – secondo le faticose ricostruzioni ancora in corso – sono probabilmente via via approdate manovre di oligarchi e di dittatori, evasione fiscale globale e sovvenzioni al terrorismo internazionale. Rehe, dal canto suo, non aveva subito indagini o provvedimenti giudiziari, anche se aveva affermato di sentirsi “responsabile” dello scandalo in cui Danske Bank e la sua filiale estone non sono state la pipeline unica, mentre giganti globali come la Deutsche Bank (proprio ieri oggetto di nuove perquisizioni a Francoforte) sono sospettati di aver avuto ruolo.



A Copenaghen, in ogni caso, le scosse sono state forti: il vertice di Danske è stato decapitato (il nuovo Ceo è un olandese, proveniente da Abn Amro, fallita e ricostruita dopo il crollo del 2008). Ma ha dovuto dimettersi anche il capo della Financial Supervisory Authority danese, Henrik Ramlau-Hansen. Il regulator dei mercati finanziari di Copenaghen era stato fino al 2016 Chief financial officer della stessa Danske. Ramlau-Hansen è stato scelto dal governo Rasmussen (popolare), succeduto al governo Thorning-Schmidt (social-liberale). In quest’ultimo, dal 2011 al 2014 Vestager è stata vicepremier e ministro dell’Economia, con ampia visibilità anche sul settore bancario. È  stata anche questa competenza ministeriale che ha consentito ad Angela Merkel di imporre la neo-commissaria danese all’Antitrust Ue pur essendo la Danimarca fuori dall’eurozona (Vestager è stata fra l’altro l’autentico “manganello” di Bruxelles contro le banche italiane negli ultimi cinque anni).

Dopo le elezioni europee di maggio, la politica danese è stata inizialmente candidata-presidente della Commissione (sostenuta dal raggruppamento liberale di Alde e appoggiata dal Presidente francese Macron) per ritrovarsi infine confermata all’Antitrust con la promozione a vice di von der Leyen.

Ma il maxi scandalo del riciclaggio baltico ha avuto un filone tutt’altro che marginale in Lettonia: l’ultimo stato dell’Ue a entrare nell’euro (2015), mentre l’Estonia l’ha preceduta di un anno soltanto. Sono 25 i Paesi (fra cui l’Italia) che stanno investigando sulla Ablv Bank, terza banca di Riga. Dove il terremoto interno è stato anche più violento che nella capitale danese. Il governatore della banca centrale, Ilmar Rimsevics è stato infatti arrestato nel 2018 con pesanti imputazioni riguardanti la vigilanza su finanza e riciclaggio, finendo addirittura sospeso dal consiglio Bce.

La carriera di Rimsevics è stata parallela a quella di Dombrovskis: due dei giovani tecnocrati – meno che quarantenni – cui la Lettonia si era affidata dopo il definitivo sganciamento dall’orbita ex Urss e l’ingresso nei confini di Ue e Nato.

Rimsevics governatore dal 2001 fino all’arresto nell’aprile 2018; Dombrovskis ministro delle finanze dal 2002, premier nel 2009 e vicepresidente Ue dal 2014 (con delega all’euro e quindi a criticare costantemente i conti italiani). Non si è stupito nessuno che il suo partito Unità (di stretta osservanza Ppe) abbia subito un anno fa un tracollo (dal 22% al 6,6%) alle elezioni politiche 2018, all’indomani dello scoppio dello scandalo. Lo scorso maggio, alle europee, Dombrovskis ha tuttavia recuperato: anche grazie alle forti pressioni anti-sovraniste e filo-Ue esercitate a tutto campo dalla core Europe tedesca. Pressioni sensibili soprattutto in un Paese di 2 milioni di abitanti ai confini della Russia.

Dombrovskis è stato esemplarmente sostenuto con la conferma a vice della nuova presidente tedesca a Bruxelles, con ruolo rafforzato: sarà fra l’altro il superiore diretto (con decisione dell’ultimo minuto di Merkel e Macron) del neo-commissario italiano Paolo Gentiloni agli Affari economici.

Se Dombrovskis o Vestager fossero convocati in una Procura italiana (quella di Milano sta peraltro realmente indagando sul caso Danske) difficilmente potrebbero eludere un noto teorema giudiziario: “Lei non poteva non sapere…”. Soprattutto se successivamente ai fatti sotto inchiesta si sono ritrovati a fustigare con l’etica protestante nordica  “errori” e “peccati” del Sud Europa: finanziari, bancari o – ultimamente – “devianze” politiche tout court.