La paternità del Corriere della Sera sullo scoop (indiscutibile) sull’offerta di Kkr per Tim è forse parte della notizia: anche quattordici anni fa Rcs era un tassello del puzzle disegnato attorno all’allora Telecom Italia dal cosiddetto “piano Rovati”, dal nome dell’assistente dell’allora Premier Romano Prodi-2.
Era l’autunno del 2007 e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera – azionista di controllo di turno, succeduto alla “razza padana” di Roberto Colaninno – era alle prese con Telecom ancora indebitata dalla “madre di tutte le Opa” del 1999 e in stallo strategico. Il balzo in avanti, rimasto poi sulla carta, sarebbe stato imperniato anzitutto sullo scorporo della rete fissa che già all’epoca era destinata a essere “para-ripubblicizzata” presso la Cassa depositi e prestiti (soddisfacendo fra l’altro il vincolo strutturale rappresentato da Sparkle, gestore di connessioni strategiche sul piano geopolitico). Telecom – alleggerita dei cavi – avrebbe potuto cominciare a librarsi come “media company”: più focalizzata sul binomio formato dalla rete mobile (all’epoca una delle più importanti anche a livello internazionale) e dalla produzione di contenuti. E se il finanziere messicano Carlos Slim era stato individuato come possibile partner del riassetto per le attività sudamericane del gruppo, Sky era virtualmente già seduta al tavolo, come fornitrice del contenuto “golden” per eccellenza (il calcio). Ma rumor mediatici e congetture di analisti chiamavano già in campo Mediaset (duopolista della tv generalista italiana) e Rcs: l’editore del Corriere della Sera, di cui allora proprio Pirelli era azionista rilevante.
Nell’autunno 2021 il gioco principale (lo scorporo della rete fissa Tim verso Cdp) e perfino molti giocatori sono gli stessi. È Il Corriere della Sera a lanciare lo scoop Kkr (Rcs di Urbano Cairo è da tempo proiettata in piazza Affari verso nuovi assetti proprietari e strategici). La stessa Kkr – storica “prima inter pares” fra i mega-fondi di private equity di Wall Street – ha oggi interessi editoriali di rilievo geopolitico paragonabili a quelli di Rupert Murdoch nel 2007: controlla il gigante tedesco Springer e attraverso quella sponda ha acquisito Politico, nuova stella del giornalismo digitale negli States. Ma come rivale oggettivo di Kkr si staglia già la francese Vivendi, primo azionista di Tim con il 23,5%. E Vivendi è pilotata da quel Vincent Bolloré che ha appena “fatto pace” con la Mediaset di Silvio Berlusconi, di cui il polo francese è azionista rilevante.
C’è più finanza o più politica – interna e/o internazionale – nell’improvviso rialzo di tensione attorno a Tim? Si va verso una “guerra di Opa” (Kkr avrebbe offerto 50 centesimi ad azione) oppure assisteremo a interventi decisivo dello Stato, anzi forse di più Stati?
La mossa Kkr (già impegnata in FiberCop, uno dei cantieri mai decollati della banca larga in Italia) è maturata pochi giorni dopo la visita del Presidente Usa Joe Biden a Roma: e sullo sfondo di varie escalation geopolitiche (la pressione russa sull’Ucraina e i “giochi missilistici” della Cina). In settimana è d’altronde attesa la firma del cosiddetto “Trattato del Quirinale”: una nuova, robusta cornice d’amicizia fra Italia e Francia. E mentre Berlusconi è tornato ad affacciarsi quotidianamente sullo scacchiere politico ormai quasi assorbito dalla partita del Quirinale, gli ambienti finanziari s’interrogano sulle strategie Fininvest: che poi ruotano attorno al riposizionamento di un polo tv stretto fra innovazione tecnologica globale e obsolescenza regolamentare italiana. Non da ultimo: il premier Draghi – privatizzatore di Telecom e quindi banchiere internazionale alla Goldman Sachs – conosce tutti i dossier come le sue tasche. È probabilmente la persona giusta al posto giusto al momento giusto per maneggiare strumenti delicatissimi come i “golden power”.
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