Domani si terrà l’Eurogruppo a cui, due settimane fa, è stato demandato dal Consiglio europeo (composto dai Capi di Stato e di Governi dei 27 dell’Unione europea) di definire una proposta sulle misure finanziarie per affrontare la crisi sanitaria ed economica che sta travolgendo l’Ue. Dalla riunione usciranno vincitori e vinti anche perché in alcuni Stati dell’Ue, invece di negoziare riservatamente presentando proposte concrete e ben articolate, si è preferito alzare la voce a fini interni e proporre soluzioni o poco praticabili nel breve periodo (l’emergenza è adesso e richiede misure che possano essere attuate subito) o già più volte respinte da numerosi altri Stati al tavolo negoziale.
Questa è la situazione dell’Italia, rappresentata, all’Eurogruppo, dal ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri, ma le cui tesi sono state più volte presentate (a fini interni) dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte in messaggi televisivi a rete unificate e in conferenze stampa. In sintesi, la proposta dell’Italia fa perno sul varo di un nuovo strumento di raccolta di fondi sul mercato e di debito condiviso dai 27 dell’Ue – in alcune versioni solo dai 19 dell’unione monetaria – che potrebbe chiamarsi coronabond (o altre denominazioni simili) e che sarebbe finalizzato a finanziare sia le spese mediche eccezionali, sia il sollievo di coloro (imprese e individui) che sono più colpiti dalla recessione, sia soprattutto la ripresa e la ricostruzione dopo la fine dell’emergenza. Proposta – lo abbiamo già sostenuto – poco praticabile non tanto per l’opposizione di numerosi Stati alla mutualizzazione del debito (anche solo di parte di quello futuro), ma perché richiede molto tempo perché si giunga a un accordo intergovernativo compiuto nei suoi aspetti anche tecnico-giuridici e lo si ratifichi.
Non si ha da sapere se Gualtieri presenterà ancora un volta i coronabond all’Eurogruppo. Se lo farà, i toni saranno, senza dubbio, più garbati e più sommessi di quelli di Conte, anche perché non ha un pubblico di potenziali elettori che potranno vederlo e ascoltarlo. Se lo farà, si tratterà di un intervento breve perché gran parte degli altri 26 (e soprattutto quelli che per peso economico, situazione finanziaria e influenza su altri, danno le carte) hanno già una soluzione concordata in tasca. Sarà interessante vedere se, dopo l’Eurogruppo e in attesa di un Consiglio europeo da tenersi subito dopo Pasqua per apporre il suggello dei Capi di Stato e di Governo, l’Esecutivo italiano, nonostante l’accantonamento (almeno per il momento) della sua proposta, cercherà, con un gioco delle parti, di mostrarsi, al pubblico interno, come vincitore. Tutto è possibile.
Andiamo con ordine. All’Euro working group (composto da alti funzionari dei 19 dell’unione monetaria incaricati di predisporre il lavoro dell’Eurogruppo) si è sostanzialmente giunti a un accordo articolato in tre punti: a) una linea di credito a condizioni rafforzate (in gergo Eccl) del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e a condizionalità molto leggere, come proposto su questa testata; b) un potenziamento del ruolo della Banca europea per gli investimenti (Bei), che dovrebbe destinare 200 miliardi alla liquidità per le imprese; c) l’uso del programma Support to Mitigate Unemployment Risks in Emergency (giornalisticamente chiamato Sure) proposto dalla Commissione, che dovrebbe raccogliere 100 miliardi sui mercati per aiutare gli Stati membri a finanziare cassa integrazione e sussidi di disoccupazione. Nell’accordo finale potrebbe anche comparire un altro strumento di liquidità rapida (Rapid Liquidity Instrument, in gergo Rli), gestito dal Mes, da 80 miliardi, per sostenere i costi sanitari e economici della risposta all’emergenza coronavirus (ma su tale strumento c’è ancora lavoro da fare).
Nessuno alto funzionario dell’Euro working group – pare- si sia opposto alle Eccl, anche se resta ancora del lavoro sulle modalità di attivazione del meccanismo e una nuova riunione in teleconferenza del gruppo è prevista a breve. C’è, in ogni caso, ampio sostegno su una condizionalità leggera: per accedere alla linea di credito gli Stati membri dovrebbero firmare un memorandum di intesa impegnandosi a destinare le risorse all’emergenza sanitaria ed economica e a rispettare le regole del Patto di stabilità e crescita (ora sospeso) quando, superata la fase più acuta della crisi, tale accordo intergovernativo tornerà in vigore. Anche la vigilanza sarà semplificata, limitandosi al coinvolgimento della Commissione e del Mes senza ricorrere al Fondo monetario internazionale (come nel caso di prestiti precedenti da parte del Mes). L’ammontare delle risorse da destinare alle linee di credito dovrebbe aggirarsi attorno ai 230-240 miliardi.
È utile soffermarsi su questi aspetti perché hanno un rilevante significato politico in Italia. Da un lato, infatti, una parte importante della maggioranza (il Movimento 5 Stelle) vede il Mes come anatema, nonostante sia stato ampiamente trattato ai tempi del Governo giallo-verde da parte di un ministro dell’Economia e delle Finanze che rappresentava il M5S; quasi tutta l’opposizione, poi, condivide questo punto di vista. Da un altro, questa soluzione è in linea con quanto proposto da numerosi economisti italiani e anche su questa testata.
Al termine dell’Eurogruppo, e in attesa del Consiglio europeo, il Ministro Gualtieri (e il presidente del Consiglio Conte) potrebbe sostenere, a fini interni, che è stata l’Italia a ottenere che la condizionalità delle Eccl venga ammorbidita. È difficile che gli italiani lo credano anche in quanto pare che il Governo non porti a casa neanche la promessa di uno studio su un futuro varo di coronabond o di altri strumenti di mutualizzazione del debito, neanche di quello specificatamente imputabile all’emergenza. Dopo tanto clamore ciò sarebbe il minimo sindacale.
In effetti, le Eccl a condizionalità leggera possono essere viste come un passo verso forme di mutualizzazione del debito per l’emergenza che possono portare, con i tempi politici e tecnici richiesti, a titoli europei condivisi con finalità specifiche. Ad esempio, non si sarebbe mai arrivati all’unione monetaria se non ci fossero stati gli accordi europei sui cambi (in gergo Sme) del 1979 e venti anni di esperienza. Ma dopo tanto clamore sarà difficile sostenere questa tesi in seno all’Esecutivo (ossia convincere i Ministri del M5S) e il pubblico italiano. Tanto più che l’opposizione mostrerà l’accantonamento dei nuovi bond come una Caporetto.