È urgente uno “sblocca Conte” o “sblocca Palazzo Chigi” che dir si voglia. Alcuni (ma pochi) pensano che il provvedimento potrà arrivare questa settimana, dopo l’incontro (ma perché non lo hanno fatto prima?) tra il presidente del Consiglio e il leader di Italia Viva. Cos’è lo “sblocca Conte” oppure lo “sblocca Palazzo Chigi”? Una strategia per rimettere in marcia l’economia, corredata da una serie di provvedimenti concordati all’interno del quadripartito al Governo e auspicabilmente con i corpi intermedi e le parti sociali.
Facciamo un passo indietro. Prima del varo della Legge di bilancio (basata su ipotesi di una crescita molto moderata che si sarebbe rafforzata nel corso del 2020 e sarebbe stata un po’ più sostenuta nel 2021), il presidente del Consiglio aveva promesso agli italiani che all’inizio di gennaio palazzo Chigi avrebbe approntato con i Ministri e i Ministeri competenti un programma di crescita corredato da un “ferreo cronoprogramma” per la sua attuazione. Sinora, di programma, con “crono” o senza “crono”, non si è visto un bel nulla, ma si è assistito a liti mediatiche tra le forze politiche che compongono il Governo. Il Parlamento ha approvato una dozzina di provvedimenti, soprattutto conversioni di decreti legge varati con “la fiducia” (non una grande lezione di democrazia).
Lo situazione economica peggiora. Quali che ne siano le determinanti (stasi politica interna, rallentamento della Germania e di altri nostri partner, coronavirus, destino cinico e baro), l’Italia è entrata nel 2020 in una leggera recessione che minaccia di aggravarsi. Unicamente il ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri sembra credere in un “rimbalzo tecnico”. Siamo ormai quasi “alla stagion dei fiori” e tutti i principali centri studi indicano che si sta andando verso una recessione forse anche peggiore di quella del 2008-09.
Ad esempio, l’ufficio studi della Confcommercio ricorda che “l’ottimismo della volontà non basta”: l’Indice dei Consumi Confcommercio (ICC) espone una flessione dello 0,6% su base annua. Il settore – ricordiamo – sta particolarmente soffrendo: negli ultimi dieci anni hanno chiuso 70.000 esercizi e la moria pare continuare. Noti i dati del manifatturiero: oltre 120 inconcludenti “tavoli di crisi”, la siderurgia e l’aviazione civile su un baratro, nessuna traccia di strategia o di politica industriale, pur se a metà marzo a Bologna Nomisma presenterà casi di piccole e medie imprese (il 7% circa delle 71.000 società di capitale analizzate dall’istituto) che fioriscono e crescono, nonostante tutto. L’ultimo rapporto Inps certifica che a gennaio la cassa integrazione straordinaria è aumentata del 60% circa e i contratti di lavoro a tempo indeterminato hanno segnato un saldo negativo di ben 75.000 unità.
Una recessione forse anche peggiore di quella del 2008-09 ha implicazioni immediate sulla finanza pubblica dato che i saldi di bilancio sono stati definiti ipotizzando una leggera crescita in graduale rafforzamento. La reazione immediata è di chiedere “maggiore flessibilità” agli “amici di Bruxelles”. Tuttavia, “gli amici di Bruxelles”, pur lieti di non avere a che fare un Governo poco europeista a Roma, hanno le loro regole. E le applicano: come si vede nel caso della procedura d’infrazione annunciata per i “finti prestiti/veri aiuti di Stato” elargiti ad Alitalia. Quindi, lo “sblocca Conte” o “sblocca Palazzo Chigi” che dir si voglia dovrà tirarsi da solo le castagne dal fuoco. Come?
Abbiamo visto su questa testata sulla base di un’analisi del servizio studi della Camera dei deputati che attivare investimenti pubblici è più complicato di quel che sembra. Tuttavia, si può avviare un processo di crescita puntando su poche grandi infrastrutture (proprio quelle che poco piacciono ai pentastellati, che dopo avere ingoiato Tav, Tap e altri progetti se ne dovrebbero essere fatti una ragione, soprattutto se vogliono evitare le urne come se fossero la peste nera). Altra leva può essere un uso più intelligente dell’attuale dei 150 miliardi (una cifra considerevole) utilizzati ogni anno per l’acquisto di beni e servizi della Pubblica amministrazione: uno studio del Cnr – che non credo sia stato letto nei “palazzi del potere” – dimostra come se pilotato in parte verso ricerca e sviluppo potrebbe contribuire a quell’aumento della produttività che in Italia ristagna da vent’anni.
Non c’è tempo per una seria spending review, ma basta leggere i giornali per avere piena contezza del fallimento del “reddito di cittadinanza” sia come strumento per combattere la povertà, sia come veicolo per avviare al lavoro. Si dovrebbe seriamente pensare di mandare i “navigator” a navigare, rafforzare i servizi sociali dei Comuni (i soli che sanno individuare le sacche di povertà e allestire i servizi per alleviarla), nonché le politiche attive del lavoro. È una bandiera che il M5S dovrebbe ammainare. E la recessione prossima ventura potrebbe essere l’occasione.