Lo shock dell’energia che ha piegato a Parigi le quotazioni del gigante Edf, in picchiata del 25% in Borsa, e messo in tensione i prezzi di Enel, la seconda utility al mondo per valore di mercato, in calo di fronte alla prospettiva di un supplemento di tasse per i “superprofitti” (che non esistono, secondo l’ad Francesco Starace) ci ricorda, a dieci giorni dall’inizio delle votazioni, che non esiste solo la sfida del Quirinale. Per capire che l’Europa, non solo l’Italia, è al centro di una pesante sfida internazionale, basta guardare alle quotazioni del gas. Il future di riferimento del gas trattato a New York è in calo, quello del gas in Europa rincara.



Il balzo è da ricondurre allo stallo nella trattativa sull’Ucraina tra Russia e Stati Uniti: Bloomberg ha riportato la notizia secondo cui la Casa Bianca sta sollecitando i Paesi europei a prendere misure sanzionatorie su Mosca. Il Congresso, su questo tema, non la pensa come la Presidenza: il Senato ha bocciato la proposta di legge che prevedeva sanzioni a società collegate al Nord Stream 2. La politica tedesca, intanto, si divide. E l’Europa non è da meno: la Francia preme perché il nucleare faccia parte dell’arsenale per garantire l’indipendenza energetica del Continente, la Germania al contrario chiude le centrali ancora in funzione. L’Italia, il Paese più dipendente dall’import, si prepara a chiedere il rinvio dell’uscita dal gas già previsto con troppa fretta da Bruxelles. E benedice lo stellone che ha salvato il Tap, il gasdotto che trasporta nella Penisola il gas da Oriente, opera che non ci sarebbe se fosse passata la scriteriata politica dei Cinque Stelle confortata dalla demagogia di Emiliano, governatore Pd delle Puglie che non si sente in dovere di fare alcuna ammenda. 



Ma l’energia è solo un aspetto di una congiuntura in salita, dato trascurato in attesa che si aprano le votazioni per la presidenza della Repubblica. Dopo quel voto, cruciale comunque vada a finire, si aprirà una fase intensa in cui dovranno essere affrontate scelte urgenti, dagli effetti di lunga durata. Sotto i cieli della pandemia, ospite indesiderato ma ostinato. Si sperava di aver svoltato. Al contrario, dopo un anno vissuto all’ombra di stimoli all’economia (magari sotto forma di garanzie che stanno arrivando a scadenza), di ripresa della domanda interna e internazionale (sfruttata dall’Italia meglio dei partner del Nord) e, soprattutto, nell’attesa dei soldi promessi da Bruxelles, la sensazione è che il Bel Paese debba prepararsi ad affrontare un anno in salita, in cui verranno di nuovo al pettine i nodi che da un paio di decenni frenano la crescita. Con una novità: stavolta sarà davvero vietato sbagliare o anche solo rinviare le scelte. Pena il rischio di precipitare in una crisi senza soluzione in grado di mettere a rischio la stessa Ue. 



L’agenda delle cose urgenti è davvero lunga, più dei 101 (centouno) compiti che dobbiamo svolgere per rispettare la tabella di marcia del Pnrr. Anche perché la congiuntura internazionale rischia di imporci sfide inattese e decisive. L’inflazione, innanzitutto. L’aumento dei prezzi negli Usa non potrà prima o poi non riflettersi sul livello del costo del denaro. Anche perché il carovita ha colpito anche la Germania che oggi accusa un tasso pari al 5%. Per quanto tempo i pensionati tedeschi accetteranno di non ricevere interessi sui Bund mentre l’euro perde potere d’acquisto al ritmo del 5% mensile? Fino a che punto sarà possibile evitare una stretta sui tassi che potrebbe mettere a rischio la ripresa?

Sarà decisivo tenere la barra dritta sui conti pubblici, come ha ammonito lo stesso Mario Draghi di fronte alla tentazione di allargare i cordoni della borsa per sostenere le imprese contro il caro energia. A buon titolo, perché nonostante alcuni dati positivi, vedi la riduzione del deficit dal 9,4% del 2021 al 5,6% previsto dal Governo per quest’anno (e al 3,9% ipotizzato per il 2023), la quarta ondata Omicron impone in futuro una nuova correzione. In questa cornice è doveroso convincere i mercati e i partners che l’impegno del Bel Paese non cambia. Senza stupidi revanscismi (è scontato che un buon Presidente debba essere un “patriota”), ma guadagnando la stima generale con i comportamenti. 

Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano guidato da Carlo Cottarelli, che tiene un’aggiornata contabilità, le principali riforme che dovranno essere varate entro giugno dall’Italia saranno il varo del nuovo Codice dei contratti pubblici e degli appalti, le disposizioni per combattere l’evasione fiscale e la pianificazione della spending review. Entro fine anno invece dovranno essere assegnati i lavori per l’alta velocità sulle tratte Napoli-Bari e Palermo-Catania e dovrà arrivare l’approvazione della legge sulla concorrenza, che ancora giace in Senato, e che riguarderà le concessioni per rifiuti, trasporti locali e distribuzione del gas. Per 23 delle 100 “condizioni” del 2022, nota l’Osservatorio, sarà cruciale il ruolo del Parlamento e dunque un eventuale rimpasto di Governo o, peggio, una crisi post-elezioni quirinalizie farebbe scorrere tempo prezioso. Al contrario i primi 100 giorni del nuovo Presidente saranno davvero decisivi. 

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