Aiuto. Le cose migliorano, un bel guaio per l’Italia in genere abilissima a farsi del male da sola. Dall’orizzonte internazionale sono sparite alcune delle nuvole più insidiose: è in caduta libera la minaccia sovranista, complice l’atteggiamento di Donald Trump che per ora fa più male agli alleati dentro e fuori gli Usa che non ai nemici. Joseph Biden ha facile gioco a ribaltare a gran velocità quanto sbandierato dal tycoon: vaccini, climate change, immigrazione, cooperazione con l’Unione europea. Sull’altra sponda dell’Atlantico Angela Merkel ha raccolto con anticipo il testimone del nuovo Presidente Usa. Al vertice di Bruxelles ha brillato una Germania formato europeo, in luogo della volontà di promuovere un Continente formato tedesco, come usava ai tempi dell’austerità.



Si profila un delicato equilibrio fatto di crescita strutturale bassa dell’economia, demografia favorevole, eccesso di risparmio rispetto agli investimenti, ampie risorse inutilizzate, politiche monetarie e fiscali espansive e uso degli asset finanziari come strumento di politica finanziaria.

Non andrà sempre così. Il confronto geopolitico con la Cina offrirà più ragioni di contrasto che non di collaborazione, come già s’intuisce dalle prime mosse delle due superpotenze. E la nuova globalizzazione non sarà una passeggiata, vista la crescita dei competitors asiatici, capaci di sfidare l’Europa sul piano tecnologico e dell’efficienza, come s’intuisce dalla risposta al Covid-19. Ma l’intenzione di tutti, governi, banche centrali e mercati, è quella di restare dentro questo paradigma il più possibile. Le possibilità che questo modello continui a funzionare sono alte nei primi anni del piano che sta per iniziare, ma a un certo punto le cose cominceranno a complicarsi. Soprattutto per i Paesi che non saranno stati in grado di cogliere le occasioni.



Nemmeno ai tempi dei tassi zero, del resto, esistono i pasti gratis. Anzi, il regolamento del Recovery fund contiene un’insidia nuova. I Paesi che, come l’Italia, non sono riusciti in passato a spendere le risorse loro conferite da Bruxelles non dovranno più semplicemente rimpiangere le occasioni sprecate. Il regolamento del Next Generation Eu prevede che, a fronte delle risorse a prestito attribuite a un Paese, si crei comunque un’obbligazione. I soldi non utilizzati, perciò, si trasformano in un debito infruttifero. Ed è altrettanto probabile che gli esami periodici sull’avanzamento lavori non saranno di routine, ma specie per l’Italia (vista la pessima fama) saranno effettivi banchi di prova dell’efficacia degli interventi.



L’Italia sarà in grado di superare la prova? Lecito dubitarne a giudicare dall’avvio goffo della “cabina di regia” con cui palazzo Chigi ha tentato di accaparrarsi il “meccanismo chiavi in mano” della gestione dei fondi.

Al di là delle politiche, poi, non fa piacere questo confronto sull’uso delle risorse pensato soprattutto in funzione della convenienza politica immediata. Anche perché non si è affatto discusso sulla destinazione delle risorse che, con una logica staliniana, risultano già allocate. Ma chi ha deciso i robusti investimenti nell’alta velocità ferroviaria? Non è che stiamo mettendo le basi per ricreare i problemi della Valle di Susa? E a chi tocca la supervisione sui delicati equilibri ambientali dei territori?

Sono solo piccoli esempi di grandi problemi che richiederebbero l’intervento delle energie migliori del Paese, così come sono emerse ad esempio in decenni di attività delle Fondazioni ex bancarie o delle strutture distrettuali abituate a confrontarsi con i problemi del territorio. Non sarà facile, ma proviamoci. Sicuramente sarà meglio della lista della spesa custodita come un grande segreto nei cassetti di palazzo Chigi.