Tra i tanti che si sono chiesti se il voto di domenica e lunedì sposterà gli equilibri politici ci sono anche gli investitori; i più attrezzati si sono certamente scambiati sondaggi “riservati” anche in questi giorni. Alla vigilia del voto non c’è un singolo indicatore, dal listino di Milano fino allo “spread”, che indichi che gli investitori pensino qualcosa di diverso da quello che, più o meno, pensa la grandissima maggioranza degli analisti politici: né il voto alle regioni, né quello al referendum sposterà in modo minimamente significativo gli equilibri politici. I due “voti” che potrebbero spostarli sono quello regionale in Toscana e quello sul referendum; il secondo, forse, ancora più decisivo perché la vittoria del no su un tema come quello del taglio dei parlamentari implicherebbe una sfiducia nei confronti dell’esecutivo tra gli elettori molto pronunciata.



Se nessun indicatore finanziario ha segnalato nervosismo significa che la scommessa è che il voto non porterà a sorprese traumatiche o che, al limite, l’esito politico sarebbe un Governo tecnico in linea con “l’Europa” con tutto quello che questo comporta nel bene e nel male. È persino inutile sottolineare quanto sia delicata questa fase economica con il Pil italiano in calo del 10% nel 2020, la peggior performance in Europa, le elezioni presidenziali americane a novembre e lo spettro di una seconda ondata anche se per ora non si vede né nel numero delle terapie intensive, né in quello dei decessi, entrambi lontanissimi dal picco di aprile. In questa fase nessuno si sognerebbe un Governo italiano non perfettamente in linea alle linee guida franco-tedesche e alla Bce. Nell’autunno del 2018 si è vigilato sul deficit del Governo “giallo-verde” con un aumento dello spread poi rientrato in qualche settimana; ricordiamo che il deficit del 2019 è stato sotto le attese e ai minimi degli ultimi 25 anni.



Quello che preoccupa i mercati è, invece, l’uso che l’Italia farà dei prestiti del “Recovery fund”. Oggi la situazione è talmente sfidante che nessuno si preoccupa di quello che succederà nel 2021, di quanto sarà il tasso di crescita italiano o europeo tra dodici mesi, o di quale ferite avrà alla fine aperto la crisi sul debito pubblico, sulle imprese e sui lavoratori. Le banche centrali stanno facendo di tutto perché gli investitori, già preoccupati per la pandemia, non si debbano preoccupare anche di queste cose. Eppure, nessuno si illude che questi prestiti non entreranno nel debito pubblico italiano; alla fine, appena la situazione si sarà normalizzata, si cominceranno a fare i conti su deficit, debito pubblico e crescita e l’Europa, prima o poi, chiederà all’Italia di rientrare nei parametri.



In questo senso la “questione” per i mercati è l’uso che l’Italia farà di questi soldi: aiuti a pioggia o pensati, investimenti sensati o meno, spesa green intelligente o folle, statalismo o sussidiarietà, ecc. Queste valutazioni non entrano, probabilmente, sulle valutazioni di investimento di oggi, ma sono dibattute già adesso e quindi ci entreranno prestissimo.

I mercati si sentono rassicurati da Conte, Gualtieri e Di Maio? Quello che è certo è che questa questione sarà decisiva. Per il momento basta la garanzia di un Governo di fiducia dell’Europa, buono o cattivo che sia, che non rompa la magia sul Btp. Fino a quando questo basterà è una funzione dell’evoluzione della pandemia. Più la pandemia migliora e la situazione si normalizza, meno agli investitori basterà “solo” un Governo di fiducia dell’Europa.