“Alla ricerca di nuovi equilibri. Come investire negli scenari globali”. Questo il leitmotiv dei giorni giorni milanesi della 14a edizione del Salone del Risparmio che si è chiuso lo scorso 11 aprile, un evento promosso da Assogestioni, l’associazione italiana del risparmio gestito. Nata nel 1984 per iniziativa delle prime società di gestione, rappresenta oggi circa 300 associati, tra cui la maggior parte delle Sgr italiane e delle società di investment management straniere operanti in Italia, diverse banche e imprese di assicurazione che operano nell’ambito della gestione individuale e della previdenza complementare.
In Italia il patrimonio complessivo del risparmio gestito supera i 2.300 miliardi di euro, una cifra più alta del Prodotto interno lordo del Paese. Sono passati 40 anni di vita dal varo dei fondi comuni in Italia, era il 1984. Oggi sono più di 11 milioni gli italiani che investono in fondi comuni. A questa clientela retail si aggiungono i fondi pensione, le casse di previdenza, le assicurazioni e istituzioni che collaborano con le società di gestione per l’allocazione delle proprie risorse finanziarie.
In Italia, un Paese da sempre anche culturalmente attento al risparmio, la sua gestione professionale può rappresentare un elemento certo di stabilità e di crescita economica e sociale. Sviluppo del mercato dei capitali, normativa nazionale e comunitaria, un evoluto e corretto quadro regolamentare per orientare e trasformare in capitale di rischio l’enorme risparmio generato nell’Ue. Occorre un mercato europeo integrato per sostenere la crescita e stabilità anche nell’Unione europea in tutti i modelli di business, compreso il risparmio gestito. Al tempo stesso, il cambio di contesto macroeconomico, le tensioni geopolitiche, la transizione ambientale e digitale, l’impatto dell’Intelligenza Artificiale generativa, i movimenti dei tassi di interesse, il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione sono altri elementi che ridisegnano la pianificazione finanziaria nella ricerca di nuovi equilibri dentro la maggiore complessità della situazione, superando le soluzioni difensive della sola liquidità, orientando l’attenzione verso la diversificazione e la sostenibilità degli investimenti in una gestione più attenta e corretta del rischio.
Fra i diversi percorsi tematici del Salone del Risparmio 2024 ci soffermiamo e mettiamo a focus i mercati privati (private market) e l’economia reale, la necessità di trovare canali alternativi per l’economia reale, la ricerca da parte degli investitori di soluzioni per mitigare il rischio e diversificare i portafogli.
La ricchezza finanziaria privata degli italiani è arrivata a circa 5.300 miliardi di euro, più del doppio del debito pubblico, e non riesce a trovare un deciso orientamento verso l’economia reale perché si dirige in larga parte verso il debito pubblico per supportare il bilancio dello Stato o va verso altri mercati di capitali, fuori dai confini nazionali.
I principali strumenti alternativi a disposizione di investitori istituzionali e privati a sostegno delle piccole e medie imprese sono gli Eltif (European Long Term Investment) e i Pir (Piani individuali di risparmio) introdotti con un regime fiscale agevolato nella Legge di bilancio del 2017, che in questi anni hanno raggiunto un patrimonio di circa 18 miliardi fra ordinari e alternativi, pur avendo avuto cambiamenti normativi non sempre coerenti con la loro finalità.
Altri strumenti per investire nell’economia reale sono: i fondi di private equity, debito privato, fondi infrastrutturali e immobiliari su cui possono entrare per lo più investitori con grandi disponibilità e patrimoni molto consistenti.
Sarebbe utile comprendere e conoscere la funzione e lo scopo di questi e dei tanti altri strumenti finanziari, vedere campagne di informazione semplici e comprensibili non solo per il lancio di titoli del debito pubblico. Aiuterebbero le imprese a reperire le risorse necessarie per innovare e competere sui mercati globali e a non finanziarsi ricorrendo esclusivamente al canale bancario.
Gli Eltif rappresentano uno strumento di finanziamento dell’economia reale dell’Unione europea che investe in una vasta gamma di ambiti quali, ad esempio, infrastrutture sociali e trasporti, attività reali e Pmi. Gli Eltif sono l’unica etichetta di fondi di investimento alternativi che gode di un regime armonizzato tale da permetterne la distribuzione transfrontaliera tanto a investitori professionali che al dettaglio. Introdotti nel 2015 dalla normativa europea, sono più di 100 quelli disponibili sul mercato.
Un mercato che finora ha faticato a decollare potrebbe ripartire complice la normativa entrata in vigore il 10 gennaio 2024 – il Regolamento Eltif 2.0 – che consentirà un accesso più ampio alla vasta platea di investitori retail. È stato abbassato il limite minimo delle attività di investimento ammissibili dal 70% al 55% del capitale e rimossi alcuni vincoli quantitativi innalzati dal 10% al 20%, come l’entry ticket di 10mila euro e il limite del 10% del portafoglio aggregato. Apprezzabile anche la maggiore flessibilità introdotta per i gestori con la possibilità di investire in progetti innovativi situati in Paesi terzi rispetto all’Unione europea, purché apportino benefici all’economia reale di quest’ultima.
Se si considera che sono oltre 30mila i fondi in circolazione per 9mila miliardi di euro, risulta evidente come ci sia un’enorme opportunità di crescita anche per questo segmento.
Per tornare ai Pir, ricordiamo che possono essere sottoscritti solo da persone fisiche residenti in Italia (l’unica eccezione sono le casse previdenziali e i fondi pensione) e sono una forma di investimento finanziario che consente di usufruire di un vantaggio fiscale rispettando alcune condizioni, tra cui quella di garantire che il 70% del portafoglio sia investito in azioni e obbligazioni emesse da società italiane e di mantenere l’investimento in Pir per almeno 5 anni. Il vantaggio fiscale consiste nell’esenzione totale sia dalla tassazione dei redditi derivanti dagli investimenti effettuati nei Pir, sia dall’imposta di successione.
Esistono due tipi di Pir. Quelli ordinari o tradizionali, istituiti nel 2017, e quelli alternativi lanciati nel 2021. La forma più comunemente usata con cui costituire un Pir ordinario è il fondo comune, ma si possono utilizzare anche contratti di assicurazione e gestioni patrimoniali, per i quali sono gli intermediari a occuparsi del rispetto delle condizioni previste.
A chi sono utili? Ai risparmiatori che intendono investire stabilmente una parte dei propri risparmi in azioni od obbligazioni emesse da imprese italiane. Il beneficio fiscale consente infatti di ottenere rendimenti al netto della tassazione più elevati rispetto a investimenti equivalenti. E sono utili anche alle società italiane, poiché aumentano la possibilità di finanziarsi attraverso l’emissione di titoli, favorendo così lo sviluppo del mercato finanziario.
Ciascuna persona fisica può essere titolare di un solo Pir nel quale può investire non più di 40.000 euro all’anno (il minimo è 500 euro), entro un limite complessivo di 200.000 euro.
Come detto, per i Pir almeno il 70% del portafoglio deve essere investito in strumenti finanziari emessi da società italiane (o europee con stabile organizzazione in Italia) e di questo 70% almeno il 30% deve essere investito in società non incluse nell’ indice azionario Ftse Mib (o equivalenti) e il 5% in società non incluse nell’indice Ftse Mid Cap (o equivalente).
Nei Pir di “terza generazione”, costituiti a partire dal gennaio 2020, la disciplina è stata modificata per alleggerire alcuni vincoli e favorirne la diffusione. È stata tolta la quota del 3,5% da investire in venture capital italiani, e introdotta una soglia minima del 17,50% del portafoglio complessivo degli investimenti in titoli in Mid Cap e/o Small Cap e almeno il 3,50% esclusivamente in Small Cap.
I Pir alternativi sono strumenti più sofisticati, con una quota più elevata di titoli emessi da società italiane di minore dimensione e negoziati su mercati poco liquidi o addirittura non quotati in alcun mercato. Per questo motivo i Pir alternativi sono costituiti attraverso la sottoscrizione di Fondi comuni chiusi e sono rivolti a investitori con maggiori conoscenze finanziarie e una capacità patrimoniale elevata. Sono strumenti più illiquidi e rischiosi rispetto ai Pir ordinari. I limiti massimi di investimento sono infatti molto più alti rispetto ai Pir ordinari: 300.000 euro l’anno, per un valore complessivo non superiore a 1.500.000 euro.
Una considerazione finale valida per tutto ciò che riguarda la finanza: occorre conoscere, serve incrementare l’educazione finanziaria per formare risparmiatori e investitori consapevoli in grado di pianificare il proprio futuro patrimoniale. In Italia il nostro livello di conoscenza e cultura finanziaria è di ben 10 punti sotto la media dei Paesi Ocse.
Più educazione finanziaria a partire dalla scuola: finalmente sarà introdotta nei programmi scolastici a partire dall’anno 2024/25 (è previsto dal Ddl Capitali), affinché non sia un miraggio costruire e avere una cittadinanza consapevole e capace di partecipare pienamente alla vita economica del Paese.
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