A un mese dall’invasione dell’Ucraina, il Consiglio europeo in corso ieri e oggi cerca un accordo per il caro energia e gli aiuti di Stato temporanei a sostegno all’economia nel contesto della guerra. Anche se c’è la consapevolezza generale che la risposta in difesa dei consumatori e imprese deve essere europea, non sarà facile arrivare a una gestione davvero comune del mercato dell’energia. Le opzioni sul tavolo riflettono i diversi mix energetici degli Stati membri e ciascuna “comporta dei pro e dei contro”. L’idea è riproporre, come nel caso dei vaccini, una Task Force per preparare il terreno per la stipula di accordi collettivi e l’utilizzo più efficiente in chiave continentale dell’infrastruttura di terminali per il gas liquido, stoccaggi e gasdotti. Mentre sostanzialmente c’è un approccio condiviso su acquisti e stoccaggi con una regia europea, per rafforzare il potere contrattuale dei Paesi membri verso i fornitori extracomunitari e predisporre una tutela reciproca caso di shock isolati, decisamente spinoso è il tema dei prezzi.
Oggi il prezzo dell’elettricità dipende dalle quotazioni del gas sulla base delle contrattazioni di acquisti giornalieri spot al mercato globale TTF di Amsterdam. La volatilità sul TTF è anche l’effetto dell’incidenza della finanziarizzazione del mercato delle commodities dove i classici contratti fisici con scambio di materia prima si combinano con dei contratti puramente finanziari, detti derivati, che incidono sulla curva dei prezzi futuri. Senza addentrarci nei tecnicismi, questi derivati acquistati e venduti da intermediari sono utilizzati dai produttori di energia elettrica (per esempio una utility) e consumatori (per esempio un’acciaieria), in affiancamento al contratto di fornitura fisica, per coprirsi dal rischio futuro di oscillazioni dei prezzi se questi si muovessero nella direzione meno opportuna rispetto alla loro necessità di vendita o di approvvigionamento in capo a un mese, un semestre o più anni.
È sui derivati che si concentra il grosso degli scambi, in quanto i soggetti che li hanno sottoscritti per coprirsi dal rischio prezzo possono, prima del termine di consegna o del ritiro fisico della commodity, venderli e riacquistarli più volte per approfittare delle salite e discese dei mercati. Inoltre, la liquidità dei derivati attira investitori i quali, senza aver necessità reale della materia prima, fanno trading su questi prodotti finanziari e prendono posizioni puramente speculative con ripercussioni sul prezzo all’ingrosso del gas.
Tornando alle misure di contrasto a caro energia allo studio in Europa, il Governo Draghi, assieme a Spagna, Francia, Belgio, Grecia e Portogallo spingono per un tetto europeo ai prezzi del gas per spezzare questo legame perverso tra gas ed elettricità, anche quando questa viene in buona parte prodotta da fonti rinnovabili e quindi completamente sganciata dalle quotazioni del combustibile fossile. A determinare questo fenomeno è il meccanismo di formazione del prezzo in uso nelle borse elettriche europee per fissare ogni giorno il costo all’ingrosso dell’elettricità, incrociando la domanda stimata e l’offerta da parte dei vari produttori.
Determinata la domanda complessiva richiesta, ogni produttore indica quanta elettricità può fornire dando giustamente la priorità alle fonti rinnovabili che risultano anche le più economiche visto che non hanno costi di acquisto della materia prima. Ma per il meccanismo denominato “prezzo marginale” a tutti gli offerenti viene pagato il prezzo massimo proposto nel pacchetto. Supponiamo che la domanda di elettricità di un tale giorno venga coperta con tre offerte: il produttore con impianto idroelettrico fa un’offerta di 20€/MWh, quello con campo fotovoltaico di 30€/MWh e l’ultimo fornitore con centrale a gas naturale di 130€/MWh. Tutti e tre incasseranno 130€/MWh e mentre l’ultimo fornitore coprirà a malapena il costo di acquisto del gas, gli altri due si ritroveranno degli extra-profitti.
La logica di questo meccanismo che appare perverso risale agli inizi della liberalizzazione del mercato dell’elettricità – 2007 in Italia, ma che prende avvio in Europa nel 1989 in Gran Bretagna con l’Electricity Act. L’intenzione era non discriminare l’offerta di elettricità dalle nuove centrali a gas meno inquinanti, ma anche a prezzi meno competitivi rispetto a quelli praticati da vecchi impianti a carbone già ammortizzati. In seguito, adottato in tutta Europa, questo meccanismo che penalizza i consumatori finali, diventa decisamente un controsenso con l’evoluzione del mix energetico e la crescente penetrazione delle fonti rinnovabili.
Considerando la forte interconnessione tra le borse elettriche europee, una riforma del meccanismo del prezzo marginale potrebbe avere efficacia solo se venisse applicato su tutto il continente. Per ora su questo aspetto, così come sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas, la Commissione è titubante. Il price cap “dovrebbe essere considerato solo come opzione limite, perché comporta alcuni problemi in termini di sicurezza degli approvvigionamenti di gas”.
A smuovere lo stallo della Commissione potrebbe essere l’ultimo ricatto di Putin che impone i rubli come valuta di pagamento delle forniture di energia? La notizia ha provocato in tempo reale un rafforzamento del rublo parallelamente a un rialzo delle quotazioni del gas. L’escalation di ritorsioni commerciali potrebbe precipitare, in caso di un rifiuto dell’Europa, anche nella chiusura dei rubinetti, risolvendo – in maniera drastica – l’opposizione di alcuni Stati membri all’embargo del petrolio seguendo l’esempio statunitense.
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