Potrebbe sembrare una notizia come tante brevi delle pagine economiche e finanziarie dei quotidiani cui non dare troppo peso, ma se esponenti politici sia della maggioranza che dell’opposizione lanciano un allarme al riguardo forse è il caso di approfondire la vicenda. Partiamo dall’inizio di quest’estate, quando Morgan Stanley Infrastructure Partners ha fatto sapere di voler mettere sul mercato Ital Gas Storage, una sua controllata che possiede il più grande impianto di stoccaggio di gas naturale nella Pianura Padana, situato a Carnegliano Laudense, in provincia di Lodi, con una capacità di 1,3 miliardi di metri cubi. Questa settimana Il Messaggero ha diffuso l’indiscrezione secondo cui il fondo australiano Macquarie (interessato tra l’altro a Open Fiber) avrebbe presentato un’offerta che sbaraglierebbe tutti gli altri potenziali acquirenti. Da qui le preoccupazioni di Andrea Cioffi (M5s) e Paolo Arrigoni (Lega), che ricordano l’importanza di tenere alla larga i fondi esteri speculativi dalle infrastrutture e di difendere gli interessi nazionali, specie quando si parla di una risorsa importante come il gas. L’economista Giulio Sapelli ci aiuta a capire come questa vicenda non è solo «questione di assetti proprietari nazionali, ma riguarda anche il futuro della produzione di energia, specie in un momento in cui si sta operando per la transizione energetica, con l’obiettivo di diminuire anche in questo settore le emissioni di CO2. In questi anni si è lavorato oltre che sull’eliminazione delle centrali a carbone, anche nell’incentivazione dell’eolico e del fotovoltaico. Che hanno però un importante limite».



Quale?

L’energia prodotta da queste fonti non si può stoccare, non si può conservare. Oggi il gas naturale è quindi ancora importante per proseguire nella strada verso la diminuzione delle emissioni di CO2 e il nostro Paese resta fortemente dipendente dall’estero, anche per via delle norme che hanno limitato la scoperta di nuovi giacimenti. Per questa ragione, ma non solo, i siti di stoccaggio sono importanti.



Per quale altra ragione lo sono?

La vera spinta per la transizione energetica oggi è rappresentata dall’idrogeno. Attualmente però il suo stoccaggio in forma liquida è molto costoso, dato che occorrono temperature vicine ai -250 °C, mentre per quello allo stato gassoso ad alta pressione si può incorrere nel rischio infragilimento dell’acciaio, con rottura improvvisa del contenitore. Oltre che nelle miniere di salgemma o in giacimenti di gas naturale esausti, una strada per lo stoccaggio sicuro dell’idrogeno appare quella dell’uso dei siti che si utilizzano già per il gas naturale. Con opportuni investimenti, e senza costruire nuove strutture, con i conseguenti benefici sull’ambiente, il nostro Paese può riconvertire impianti esistenti per utilizzare sempre più come fonte energetica l’idrogeno, che appare tra l’altro il futuro dell’industria automotive.



Dunque i siti di stoccaggio non sono importanti solo in ottica presente, ma anche futura.

Soprattutto futura. Ed è per questo che sono oggetto dell’attenzione dei fondi esteri. Possiamo considerarli forme di monopolio naturale. Da qui l’interesse dei veicoli finanziari.

Vista la loro importanza, da chi dovrebbero essere gestiti i siti di stoccaggio?

Sono dell’idea che se abbiamo già delle imprese nazionali che operano nel campo energetico, facendo anche ricerca sull’idrogeno, è bene che verticalizzino la loro attività acquisendo questi siti.  Lo scoppio della pandemia ha del resto accelerato la verticalizzazione della produzione industriale e segmenti che prima erano divisi tra diverse industrie, anche con proprietà diverse, adesso tendono alla riconvergenza, come mostra la vicenda della rete unica delle telecomunicazioni.

Nel caso di Ital Gas Storage siamo però di fronte a un’operazione di mercato. Bisogna auspicare un intervento del mondo politico?

Sì è vero, è un’operazione di mercato, ma per quanto ho detto bisognerebbe valutare se non sia il caso di invocare l’utilizzo del golden power.

(Lorenzo Torrisi)