È arduo fare previsioni sull’eventuale formazione del nuovo Governo M5s e Pd a cui si sta tentando di dare vita in un momento in cui – lo dicono eloquentemente gli ultimi dati Istat sulla crescita del Pil e sull’occupazione – l’Italia minaccia di entrare in una pesante recessione, anche a ragione dell’eredità lasciata dai 14 mesi di politica economica del precedente Esecutivo.



Un aspetto importante, e sul quale le analisi e i commenti sembrano dare meno rilievo di quanto meriterebbe, è il contesto di politica economica internazionale nel cui quadro si sta cercando di formare il nuovo Governo.

E’ utile distinguere tra due livelli: quello europeo e quello mondiale. I segnali, infatti, sono differenti e anche divergenti.



A livello europeo, il tentativo di creare un Esecutivo M5s e Pd sembra godere del sostegno delle istituzioni dell’Unione Europea in senso lato per ragioni che esulano dal voto determinante dei rappresentanti del M5s al Parlamento europeo a favore della presidente della Commissione. In primo luogo, naturalmente, l’Ue vede con preoccupazione instabilità economica, finanziaria e politica in uno dei maggiori Stati dell’Unione, per di più uno degli Stati “fondatori”.

Come si è ricordato su questa testata, da tempo sono state approntate misure per evitare un eventuale “contagio” dell’instabilità dell’Italia su altri Stati Ue. Tuttavia, la principale garanzia nei confronti dell’instabilità è che in Italia ci sia un Governo in grado di funzionare con efficienza ed efficacia e che cerchi di risolvere i nodi, sempre più stretti, che sono stati accentuati in questi ultimi anni.



La nuova Commissione europea – anche a ragione dell’elezione della sua presidente con una maggioranza molto modesta, e dipendente dal voto M5s al Parlamento – interpreterà le regole dei Trattati e soprattutto degli accordi intergovernativi in modo più “flessibile” per tutti gli Stati membri ed è probabile che proponga riforme, anche di spessore.

La nuova presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, è un avvocato con grande esperienza politica a livello sia nazionale sia internazionale. La Bce potrebbe cambiare leggermente indirizzo e giungere all’emissione di forme di eurobond, primo passo per arrivare a forme di soluzione condivisa di problemi del debito sovrano quali quelli che assillano l’Italia.

A queste luci, o barlumi di luce, che provengono dall’Ue, si contrappongono nuvoloni, anche molto neri, che si vedono sul resto dello scacchiere economico internazionale. Il rischio maggiore – come già detto su questa testata all’inizio dell’estate – è l’addensarsi di una recessione internazionale grave, forse, come quella di dieci anni fa.

L’Europa è presa a tenaglia. Negli Stati Uniti si è invertita, per esempio, la curva dei rendimenti sui titoli di Stato, uno dei principali indicatori di una recessione in arrivo. A differenza di quanto avviene normalmente, è diventato più remunerativo, e quindi rischioso, comprare un titolo di Stato a breve scadenza rispetto a uno a lunga scadenza: un segno che gli investitori sono preoccupati per quel che accadrà nell’immediato futuro. Queste “inversioni di rendimento” hanno preceduto tutte le recessioni degli ultimi 70 anni. I mercati hanno reagito con prontezza: la pubblicazione dei dati sull’inversione della curva dei titoli del Tesoro a due anni ha affossato i principali indici della Borsa Usa.

Rallentamento serio anche delle economie asiatiche. L’economia mondiale sta incontrando delle barriere alla crescita economica che non hanno a che fare con le singole scelte politiche dei Governi: per esempio, l’invecchiamento della popolazione e la conseguente riduzione della forza lavoro (meno persone che lavorano, meno beni e servizi prodotti e quindi meno Pil). La Cina, considerata da decenni il “motore” mondiale della crescita, ha ormai esaurito le possibilità di crescita più semplici e accessibili (trasformare milioni di contadini in operai e costruire fabbriche e grandi infrastrutture); l’unico modo che ha di mantenere i suoi elevatissimi tassi di aumento del Pil è adottare strategie per favorire una crescita di migliore qualità, strategie che però non sono facili da concettualizzare e intraprendere.

A queste determinanti strutturali, si aggiungono variabili strettamente connesse alla politica economica come la guerriglia commerciale in atto tra Usa, da un lato, e Cina (e, in misura minore, Ue) dall’altro, e una strisciante, ma sempre più palese, guerriglia valutaria.

Non è affatto chiaro se, nella preparazione di un programma di Governo, si darà un’attenzione adeguata a questi temi, fondamentali per un’Italia la cui crescita dipende in gran misura dall’export. Ad esempio, non c’è stato alcun cenno di possibile posizione italiana rispetto alle vaste proposte di riforma del sistema monetario internazionale delineate nella riunione annuale dei banchieri centrali a Jackson Hole, nel Wyoming.