La settimana finanziaria italiana inizia nell’attesa di novità da gruppi-Paese come Tim e Generali. Le due partite sono iniziate ben prima che la guerra ucraina sconvolgesse ogni normalità su ogni mercato. È comunque singolare che sia Tim, il primo operatore tlc nazionale, sia Generali fossero da tempo oggetto di “battaglie finanziarie”: con assedi e autodifese, con scenari di consolidamento nazionale contrapposti a situazioni o manovre di natura più internazionale.
Ancora nella tarda serata di ieri non si avevano notizie dal cda di Tim: che varie fonti annunciavano incerto e complesso. Sul tavolo – nelle premesse – si sarebbero dovute misurare due diverse ipotesi strategiche. Da un lato c’è da mesi l’apertura alla manifestazione d’interesse giunta in autunno dal fondo Usa Kkr (una sorta di pre-Opa a 0,50 euro). A esso si contrappone il piano industriale delineato dal neo-Ceo Pietro Labriola, incentrato sulla separazione della rete, da aggregare in OpenFiber, società piattaforma controllata al 60% da Cdp, principale azionista italiana di Tim.
Il piano su Tim è stato però malaccolto dalla Borsa, unitamente ai risultati 2021 lasciati dall’ormai ex Ceo Luigi Gubitosi. Mentre il titolo Tim è caduto fino a 0,29 euro, dal mercato (negli ultimi giorni anche da un investitore come Kairos) si sono fatti più pressanti gli inviti al cda presieduto dall’ex Dg Bankitalia Salvatore Rossi: l’offerta Kkr non può essere più ignorata. La posizione della francese Vivendi (tuttora prima azionista) è ancora oscillante: fra una “non chiusura” alla proposta Kkr – soprattutto se il prezzo venisse ritoccato – e la necessità di tenere aperti i canali con il sistema-Italia (Governo e Cdp, in prima battuta favorevoli al progetto OpenFiber) .
La “variante ucraina” aggiunge sicuramente complessità al dossier. Tim è da sempre un operatore geostrategico, gestendo una rete al centro del Mediterraneo, in un crocevia delicato fra macro-regioni europee, Africa e Medio Oriente. E Kkr è un investitore di profilo geopolitico: globalista ma pur sempre radicato in America. È vero che Vincent Bolloré – il patron di Vivendi – è un player di livello internazionale, da sempre attento allo scacchiere politico, soprattutto in Francia: dove tutti attendono ora come probabile fra tre settimane la rielezione alla presidenza di Emmanuel Macron, in forte intesa europeista con il Premier italiano Mario Draghi.
La Francia è anche lo sfondo della “battaglia delle Generali”: apparentemente giunta a un punto del non ritorno con lo “schieramento” delle liste per il prossimo Consiglio d’amministrazione. L’assemblea di aprile si profila ancora “campale” fra Mediobanca – che difende una presenza ormai cinquantennale a Trieste – e il fronte dei finanzieri Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, che marciano affiancati in un tentativo di “invasione” delle Generali. Mentre si attendono ancora tutti i nomi della “lista Caltagirone” (Mediobanca ha invece già scoperto la carta dell’economista Andrea Sironi come candidato presidente) crescono i dubbi sulle chance di successo di un’iniziativa ostile al management pilotato dal Ceo Philippe Donnet. L’esigenza di stabilità e il passaporto francese di Donnet potrebbero giocare a favore di un “cessate il fuoco”: di forme di soluzione concordata. Che potrebbero coinvolgere anche Mediobanca.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI