La politica monetaria insiste nel mantenere i tassi negativi sulle somme depositate presso le banche centrali dell’eurosistema. La motivazione risiede nel voler incentivare gli organismi creditizi a collocare la liquidità in impieghi redditizi. Qual è la reazione delle banche? Criticano questa politica e vorrebbero scaricare sui propri clienti il costo subìto, applicando anch’esse un tasso negativo.
Tale intendimento è stato espresso in Italia da un esponente di una banca italiana di proprietà straniera, verosimilmente a causa della prevalenza di una classe politica che si è sempre piegata ai desiderata dei banchieri, dei finanzieri, degli speculatori, come dimostrato dall’obbligo imposto a tutti i cittadini, compresi i pensionati al minimo, di aprire un conto corrente; ovviamente le banche dove aprire il conto corrente sono tutte private e quasi esclusivamente di proprietà estera.
Più recentemente la Banca centrale olandese ha ritenuto necessario comunicare che “possiede oltre 600 tonnellate di oro”, che “un lingotto d’oro ha sempre il suo valore” e perciò la proprietà aurea di una banca centrale è un segnale di fiducia. Ha ritenuto di aggiungere che “se l’intero sistema crolla, il titolo d’oro fornisce una garanzia per ricominciare”.
Questi sono due aspetti che rivelano quanto egoismo ci circonda e come questa Europa sia piegata alla massimizzazione dei profitti dei singoli Stati a svantaggio degli altri partner del contesto europeo, soprattutto di quelli che si mostrano incapaci di far valere le proprie prerogative.
Ciò appare esattamente come l’opposto di quanto ripetuto dal presidente della Bce, Mario Draghi, il giorno in cui gli è stata conferita una laurea honoris causa, e cioè di aver salvato l’euro con la disfatta dei sovranisti.
Ricordo in questa sede che l’euro è intrinsecamente una moneta sbagliata perché, salvo il cambio iniziale delle monete nazionali – peraltro non eseguito con parametri equilibrati, equi e paritetici -, ne è stata prevista l’emissione soltanto a debito, cioè prestandola. Di conseguenza essa produce una rarefazione monetaria, non solo a mano a mano che vengono restituite le quote di capitale scadute, ma in particolar modo a causa del pagamento degli interessi mai emessi, non essendo stata prevista l’emissione in capo agli Stati di una quantità di monete almeno pari agli interessi maturati nel periodo di riferimento; in ciò proprio l’Italia è stata la nazione maggiormente penalizzata. Quale sarà il motivo? L’errore andrebbe immediatamente rettificato. C’è qualcuno che ne parla?
Il salvataggio dell’euro ricordato da Draghi avrebbe dovuto essere concentrato nei Paesi che venivano costretti a pagare tassi di interesse relativamente elevati, in modo da aumentare le loro capacità di rimborso dei prestiti e, nello stesso tempo, di comprimere i divari di remunerazione, cioè gli interessi.
Questi ultimi, infatti, considerato che per gli Stati debitori sono previste specifiche politiche di austerità, non trovano alcuna giustificazione né con riferimento al rischio Paese, né ad altri fattori. In tal modo avremmo goduto di una politica monetaria riequilibratrice, capace di migliorare sia la condizione dei debitori che dei creditori.
Invece, l’azione di salvataggio dell’euro è avvenuta con la riluttanza degli Stati che proprio dall’euro traggono i maggiori benefici, i quali hanno approfittato della necessità contingente ottenendo un ulteriore incremento dei propri guadagni.
E’ avvenuto che, per una pseudo parità di trattamento, le immissioni di liquidità sono avvenute in maggior misura nei Paesi che ne avevano minor bisogno, arrivando a creare da subito un’inversione di segno dei tassi di interesse. In pratica, l’intervento del Sebc (Sistema europeo delle banche centrali) corrispondeva ai venditori di titoli del debito pubblico degli Stati che godevano di bassi tassi somme di denaro (appositamente create dal nulla) superiori agli introiti futuri per quote capitale e interessi. Il paradosso, a motivo della relativa scarsità di titoli di debito emessi, è stato registrato persino sul mercato primario.
Se gli Stati europei privilegiati fossero animati da sentimenti di solidarietà complessiva, avrebbero stimolato l’economia, indirizzando i capitali aggiuntivi elargiti dal Sebc per l’acquisto di beni e servizi nei Paesi partner loro debitori, contribuendo a riequilibrarne i bilanci e mettendoli in condizione di far fronte con maggiore capacità agli impegni assunti. A questo punto l’immagine europea sarebbe completamente diversa.