L’anno 2020 occuperà sicuramente uno specifico capitolo nei molti libri di economia, finanza e soprattutto quelli legati alle tematiche di stampo operativo riconducibili alla statistica e al controllo del rischio (Risk management). La vissuta pandemia con il suo tragico risvolto sulla società riguarda certamente la sfera umana, ma, è incontestabile, come nell’intero contesto finanziario la sua comparsa abbia delineato nuovi e mai esplorati scenari. Come spesso dimostrato, anche questa volta, il dramma Covid si è poi rivelato innocuo se contestualizzato ai mercati finanziari. Sarà per l’implicito cinismo del denaro, sarà per la mera freddezza degli stessi numeri, ma, a conti fatti, i risvolti economici (e le pessime prospettive per il futuro) sono stati scalzati da performance a doppia cifra messe a segno da importati indici borsistici.
Escludendo i listini settoriali (per esempio, tecnologia), il primo a capeggiare è l’azionario statunitense con il suo S&P 500: nel 2020 il guadagno ottenuto ha superato i diciotto punti percentuali. A seguire la piazza asiatica giapponese (rif. Nikkey 225) con oltre sedici punti di rivalutazione e, in maniera più sintetica e aggregativa, il benchmark internazionale MSCI World Usd che ha archiviato l’anno pandemico con un +14%.
A tutti gli effetti si tratta di performance ottime, molto significative e inaspettate. Ma proprio sulla falsa riga di questa improbabile e sconosciuta realtà non pronosticabile a inizio 2020, è sorta la curiosità di poter osservare quanto fatto registrare dai cosiddetti gestori alternativi comunemente denominati fondi speculativi o hedge fund.
Innanzitutto è doveroso identificare l’oggetto della nostra analisi. Riprendendo la definizione dal Glossario presente sul sito di Borsa Italiana, si legge: «Fondi che generano rendimenti non correlati con l’andamento del mercato attraverso l’utilizzo di una vasta gamma di strategie d’investimento». Inoltre, nell’approfondimento, si riscontra «Gli hedge fund godono della massima libertà nella scelta delle attività oggetto di investimento e sono potenzialmente in grado di generare, ove la gestione risulti efficiente, rendimenti non correlati con l’andamento del mercato». Ebbene, quest’ultima parte (rif. «rendimenti non correlati con l’andamento del mercato»), è quello che a noi importa al fine di poter constatare l’effettiva gestione “efficiente” nel corso di un annus horribilis come quello trascorso.
Per un’opportuna comparazione tra i mercati e le singole strategie di investimento adottate dai vari hedge funds, abbiamo ricorso ai dati di Credit Suisse AllHedge Index.
I valori percentuali rappresentativi l’anno 2020 (rif. “1 Year return o YTD return”) destano perplessità in ottica di efficienza. Non considerando l’Emerging Markets poiché concernente a un’area e tipologia ben specifica di investimento, le restanti opzioni di investimento hanno pressoché sottoperformato (di molto) gli stessi indici di mercato. Per un adeguato parallelismo con il mercato borsistico, riteniamo opportuno prendere come riferimento la strategia Long/Short Equity che, nonostante la sua “devozione azionaria”, riporta guadagni in linea. Nulla di più.
È pur vero come – il +17,35% – sia stato conseguito con una volatilità annualizzata dell’8,17% rispetto al 14,68% (rif. S&P 500) e al 15,66% dell’indice MSCI World Usd e “quantitativamente parlando” si tratta una netta diminuzione di rischio assunto con una comunque significativa performance assoluta. Nonostante questo valore aggiunto, è molto probabile immaginare la delusione di tutti coloro che interpretavano l’investimento in tale strategia come la cosiddetta panacea di tutti i mali del risparmio ovvero la soluzione ideale: guadagnare sempre sia al rialzo che al ribasso. Questo non è stato e, paradossalmente, non lo è mai stato.
Estendendo l’analisi agli ultimi cinque anni è possibile riscontrare la perfomance nettamente inferiore della citata strategia (Long/Short Equity) sia nei confronti del mercato Usa che del benchmark azionario internazionale. Il divario è notevole. Non possiamo parlare di “cattiva gestione” dei money manager, bensì di pessima conoscenza degli eventuali investitori. Di fatto, un hedge fund con strategia Long/Short Equity, può generare «rendimenti assumendo posizioni long su alcuni titoli ritenuti sottovalutati, e finanziandosi con delle posizioni “short” su titoli sopravvalutati, il tutto cercando di non risentire dell’andamento generale del mercato azionario» (fonte Ansa finanza personale). A seguito di tale implicazione gestionale, chi si aspettava di poter “vincere sempre” (ovvero sia al rialzo che al ribasso) è stato completamente disatteso. Un’illusione che non può ritrovarsi in una contraria applicazione della contrattualistica sottoscritta, ma, per l’ennesima volta, solo ed esclusivamente in capo al risparmiatore.
In finanza la formula magica non esiste e, al pari di molti racconti della narrativa, le scorciatoie non portano alla destinazione voluta. Per gestire il denaro è obbligatoria una preparazione specifica, gli strumenti per le opportune analisi e un tempo sufficiente per i dovuti aggiornamenti. La mancanza di questi fattori comporterà il costante risultato di sempre: perdite e insoddisfazione. La colpa di tutto questo? Ovviamente del mercato. Purtroppo, questa volta, “lui” è innocente.