In tempi non sospetti, Mario Esposito su queste pagine anticipava gli argomenti che sarebbero divenuti fondamentali in merito al ruolo della Bce, del sistema bancario e delle regole europee nei prossimi anni. Il coronavirus ci ha portati di corsa nel cuore del problema.
Tutta la discussione in merito agli aiuti, finanziamenti, corresponsabilità debitoria degli Stati membri, accettazione o meno del Mes o di altre forme tecniche, in Italia si basa sul falso presupposto che l’Europa, quella dei Trattati, si fondi sulla federazione di popoli e, quindi, delle persone che la abitano.
La realtà legale che esiste, nelle forme e nelle sovrastrutture, non nei sogni di molti, è solo un consorzio mercantile. Ogni discussione, argomento o battaglia politica finisce per trovare soluzione solo all’interno di uno schema commerciale. A questo punto gli esiti finali delle lotte interne al consorzio non sono determinabili, ma è certo il destino per l’Italia.
Sicuramente la scarsa capacità o l’asservimento funzionale dei nostri rappresentanti politici attuali ci predispone alla sconfitta, ma la stessa è comunque scritta nelle scelte del passato, nella nostra Costituzione modificata – articoli 81, 97, 117, 119 – e nelle leggi che abbiamo supinamente varato negli anni.
Pareggio di bilancio, firma dei Trattati e adesione agli accordi, in particolare quelli finalizzati all’Unione bancaria, sono strumenti utili al predominio economico franco-tedesco che, ovviamente, presenta una sua forte dialettica. La stessa è ben rappresentata dalle interpreti femminili Lagarde, alla Bce, e von der Leyen, alla Commissione, nei ruoli del “buono e cattivo poliziotto” per gestire l’Europa periferica, con le sue differenze specie in questa crisi. Ma ogni crisi è un’opportunità per qualcuno e una tragedia per altri.
Alla fine, aumenterà il debito, poco importa come sarà chiamato, Mes, coronabond, Btp italico: il debito dello Stato, il debito delle aziende. D’altra parte, con tassi di interesse relativamente bassi, solo l’aumento dello stock debitorio garantisce i flussi finanziari, per interessi da 70 miliardi annui, che sono sia compatibili con la nostra economia che interessanti per il sistema finanziario. Tanto, anche in questa occasione, non si mette mano ai meccanismi di decisione dei tassi – misurati come spread sul riferimento tedesco per evitare dubbi su chi comanda -, affidati, ancora nel 2020, alla “mano invisibile” di Adam Smith, pur essendo i titoli pubblici in mani estere per meno del 30%. Ed è così che, ancora oggi, 16 miliardi di titoli di stato con interessi fino a oltre il 3% vengono accaparrati dai soliti intermediari “di fiducia” del Tesoro.
Ma vale la pena, riprendere il tema che aveva spinto il professor Esposito alle sue riflessioni: il parere dell’allora presidente della Bce Draghi sull’assetto proprietario di Banca d’Italia e dell’oro delle ex riserve.
Su questo tema anche noi abbiamo spesso richiamato l’attenzione e forse oggi dobbiamo anche diventare un po’ “complottisti” e ipotizzare che la caduta del Governo a traino leghista abbia trovato in parte fondamento lo scorso anno nelle forti ipotesi legislative della destra su questi aspetti. La proposta Borghi era, peraltro, minimale e approssimativa – stante i numerosi vincoli legali da definire -, ma mirava a sancire la proprietà pubblica della Banca d’Italia e dell’oro. Proposte chiaramente sconvolgenti per l’asse Parigi-Berlino, per il quale l’Italia è un asset – ripeto economico non umano – importante: risparmio, ricchezza, aziende e… oro quanto basta a garantire l’euro franco-tedesco.
Per capire, il valore del nostro oro è 120 miliardi, quello della Banca d’Italia, oro a parte, è almeno di 200 miliardi (la stima è indicativa sulla base del flusso dei dividendi, mentre il valore dell’oro è quello di mercato).
È proprio necessario pietire un obolo ai nostri partner commerciali? Non è preferibile andare e trattare, da pari e con la forza della nostra ricchezza, liberata da vincoli artificiali e di destinazione?