Avete presente quei cani che, per gioco, girano intorno a se stessi nel vano tentativo di andare a mordersi la coda? Ecco, i politici tedeschi, nella loro teutonica efficienza, non solo si sono impegnati negli ultimi anni a questo gioco, come fosse una cosa serissima, ma sono riusciti a mordersi la coda. Guidati dalla Merkel e dal suo folle piano di austerità noto come Nero Zero (Schwarze Null, per indicare un bilancio in equilibrio che da come risultato lo zero, oppure in positivo e allora si scrive usando il colore nero) ha effettuato negli ultimi anni un drastico taglio agli investimenti e a qualsiasi spesa statale, portando a una sorta di rivolta degli imprenditori per la fatiscenza delle infrastrutture pubbliche, oltre che alla sistematica distruzione del mercato interno.



Ovviamente la politica del Nero Zero è stata attuata anche nel caso dei tassi di interesse sul debito pubblico grazie al gioco delle tre carte che la loro banca centrale esegue per tenere bassi gli interessi: i titoli rimasti invenduti alle aste vengono ricomprati dalla loro Agenzia per il Debito e quindi ricollocati sul mercato secondario. Il problema è che questo azzera i profitti per gli acquirenti, cioè le banche tedesche in primis. E questo ha portato le stesse a tentare di cavare profitti dalla speculazione finanziaria, con tutti i rischi connessi. Poi magari un bel giorno qualcuno si sveglia e scopre che i titoli di Deutsche Bank sono in calo continuo e ricalcano il percorso della fallita Lehman Brothers e che in pancia ha titoli derivati per un nozionale pari a venti volte il Pil tedesco. E tenta stupidamente di correre ai ripari tagliando 19 mila dipendenti bancari, come se il problema fosse il costo del lavoro.



E questo problema, che nel suo cuore è un problema bancario e finanziario (e soprattutto monetario) pian piano investe non solo i dipendenti bancari, ma tutto il mondo del lavoro. Così da qualche anno si assiste al triste fenomeno dell’emigrazione delle migliori risorse. Proprio così, quello che da noi in Italia succede da anni, anche in Germania ha iniziato a essere un fenomeno importante, tanto da diventare una notizia sui media tedeschi: “Mentre arrivano lavoratori non qualificati, 180 mila lavoratori qualificati lasciano la Germania ogni anno”.

Tutto nasce dallo studio “German Emigration and Remigration Panel Study” dell’Istituto Federale per la Ricerca sulla Popolazione. Un’emigrazione che non riguarda solo i tedeschi, perché nel 2016 secondo l’Istituto di Statistica sono emigrati circa un milione di persone (998 mila persone), ma di queste 859 mila erano stranieri. Quindi nel 2016 sono emigrati 139 mila tedeschi.



Ma dove vanno i tedeschi che espatriano? Quali sono le loro mete? Indovinello facile: sono Svizzera, Stati Uniti, Austria, Gran Bretagna. Ma c’è un altro fenomeno che è molto grave e che finora non mi pare abbia avuto molto spazio sui media. Perché con un milione di partenze complessive e oltre due milioni di arrivi è chiaro che si sta attuando una sostituzione del popolo tedesco sul suo territorio. E così iniziano ad affiorare racconti che sono la denuncia di un popolo che si sente estraneo a casa sua. Come quella mamma tedesca che ha scritto una lettera al suo sindaco (di Monaco) per raccontare di aver partecipato a una cena sociale organizzata dal comune. Ma al suo arrivo l’hanno avvisata che per lei “non sarebbe stato facile integrarsi” (hanno usato proprio queste parole), perché al suo tavolo c’erano altre otto donne, tutte col velo e nessuna che parlasse tedesco. Inoltre, il pasto sarebbe stato consumato in un’apposita sala, diversa da quella degli uomini. E alla fine della lettera annunciava la volontà di emigrare insieme alla sua famiglia.

O come quella di un agente immobiliare ungherese, il quale racconta che otto tedeschi su dieci che prendono casa nei pressi del lago di Balaton affermano di trasferirsi a causa della crisi migratoria nel loro Paese. O quella di un migrante siriano che invita i tedeschi ad andarsene: “Siamo stufi di voi!”.

La catastrofe economica è sempre l’esito di una catastrofe sociale. In Europa non l’hanno capito ancora. O forse qualcuno l’ha capito e ora semplicemente la sta attuando.