La settimana scorsa, mentre il Presidente del Consiglio chiamava ingenerose e scoraggianti le previsioni economiche relative all’Italia della Commissione europea, e uno dei suoi vice le tacciava di essere farlocche, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria, ha rilasciato, con il suo abituale sorriso, un’ampia intervista a Il Sole 24 Ore per rassicurare il colto e l’inclito che non si ridurranno tasse e imposte in deficit. L’intenzione era chiaramente quella di rassicurare i mercati. Un buono, anzi ottimo, proposito. Purtroppo, come dice un proverbio, le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. E in effetti all’intervista ha fatto seguito un leggero aumento dello spread.



Sarebbe tendenzioso attribuirlo alle dichiarazioni del Ministro, in grandissima misura condivisibili, ma indubbiamente non pochi operatori sono rimasti sorpresi che il titolare del ministero dell’Economia e delle Finanze abbia dovuto fare ricorso a un colloquio con due giornalisti invece che presentare i propri programmi, pienamente sostenuti dal Governo, di cui è autorevole componente, in Parlamento. In effetti, quasi per chiosare l’intervista, i due azionisti di maggioranza dell’Esecutivo hanno rilanciato dichiarazioni su aumenti della spesa e riduzioni del carico fiscale in disavanzo in piena contraddizione con l’intervista del Ministro, quasi a ricordargli che lo hanno ingaggiato perché sia al loro servizio.



Nell’intervista e nelle dichiarazioni di esponenti del Governo, né peraltro nei maggiori organi di stampa italiani, si fa riferimento alle stime del Fondo monetario internazionale in merito alle implicazioni di finanza pubblica dell’attuazione del programma di politica economica dell’Italia (quale articolato dall’Esecutivo) sino al 2024; sono pubblicate nel Fiscal Monitor diffuso a fine aprile e disponibile on line. Senza dubbio, a via XX settembre lo hanno letto e meditato, ma non ne parlano al di fuori delle mura del Ministero.

Nel documento si presentano stime dell’andamento della finanza pubblica italiana sino al 2014, nella ipotesi che l’Iva venga aumentata come da Legge di bilancio in vigore: l’indebitamento della Pubblica amministrazione crescerebbe di anno in anno sino a toccare il 3,8% del Pil nel 2024, quando ci sarebbe un passivo primario dello 0,5% del Pil e un rapporto tra stock del debito pubblico e Pil del 138,5%, il più alto tra quelli dei Paesi avanzati dopo quello del Giappone, finanziato, però, interamente con il risparmio interno. Arriveremo a queste cifre o, prima di allora, verremo commissariati da Banca centrale europea, Fondo monetario e Commissione europea (la troika) perché avremo difficoltà a collocare i nostri titoli di debito pubblico? O dovremo mettere in atto una forte patrimoniale straordinaria che colpirebbe duramente case, conti di risparmio e anche conti correnti, come già avvenuto circa vent’anni fa?



A queste domande dovrebbe rispondere, non necessariamente sorridendo, il titolare del ministero dell’Economia e delle Finanze. Non trincerarsi dietro i leggeri segni di ripresina in atto nel primo trimestre. A più breve termine dovrebbe chiedersi se questi segni si irrobustiranno nei prossimi mesi. Qualche indicazione forse si avrà il 14 maggio in occasione della presentazione del rapporto annuale di Confindustria o a fine mese in quella della relazione annuale della Banca d’Italia.

I venti maggiori istituti econometrici internazionali, chiamati il gruppo del consensus, nelle ultime stime indicano che alla ripresina (del primo semestre) seguirà uno slittamento (in basso) nel secondo semestre: nel 2019 nel suo complesso, il tasso di aumento del Pil sarebbe un misero 0,1% – ossia stagnazione, non certo crescita. I maggiori istituti econometrici italiani stanno affinando le loro stime per l’anno in corso che verranno pubblicate, come di consueto, in giugno. Le domande che si pongono sono se il peggio è o non è passato. La risposta è che è in vista una nuova recessione a causa di determinanti sia internazionali che interne.

Tra le prime, le più importanti sono l’aumento della volatilità dei mercati, le tensioni finanziarie nei Paesi emergenti, le guerre tariffarie e i loro effetti sugli investimenti, la Brexit. Tra la seconde, la crescente sfiducia nei confronti di un Paese il cui Governo parla a più voci che si contraddicono l’un l’altra e il cui andamento di finanza pubblica è sintetizzato nelle stime del Fondo monetario. Il reddito di cittadinanza all’italiana, comincia a preoccupare il resto del mondo: si veda l’articolo di Sam Mitha “Basic income: utopian dream or fiscal nightmare?” pubblicato sul Tax Journal.

Se non siamo al baratro, ci si stiamo avvicinando. Non c’è da essere lieti.