Martedì la Commissione europea pubblicherà analisi e previsioni sull’economia italiana. I numeri, stando alle anticipazioni, non sono buoni e preparano amare raccomandazioni il 5 giugno prossimo, quando verrà pubblicato il rapporto sul debito. Con il pericolo che scatti la procedura d’infrazione. Allora le elezioni europee avranno già mostrato il volto del nuovo Parlamento. Matteo Salvini ha detto di non preoccuparsi: vinceranno i sovranisti i quali non chiederanno all’Italia di aumentare le imposte indirette (23 miliardi il prossimo anno) per non aver rispettato i parametri sul deficit e sul debito.



In realtà, la situazione è ben diversa: sono proprio i sovranisti, infatti, che oggi chiedono un inflessibile rigore sui conti pubblici, mentre gli europeisti appaiono più malleabili. Può darsi che sia gli uni sia gli altri facciano solo propaganda, soprattutto non è affatto certo che i nazional-populisti, nonostante il loro prevedibile buon risultato, siano in grado di cambiare gli equilibri in Parlamento e nella Commissione. È probabile che emerga una maggioranza popolari-socialisti-liberali, dove questi ultimi, come si sa, sono rigoristi, mentre i popolari, già chiaramente spostati a destra, non faranno sconti. Vedremo, fatto sta che l’Italia si presenta male a questi appuntamenti decisivi.



La notizia positiva è che la mini-recessione sembra finita. Lo speriamo, anche se il dato di un mese non fa primavera e in ogni caso, come ha ammesso il ministro Tria in un’intervista al Foglio, siamo comunque in piena stagnazione. La Banca d’Italia lo ha scritto nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria. Pesano in modo rilevante gli alti tassi d’interesse: se lo spread dovesse restare al livello attuale, cioè attorno al 2,6%, quest’anno e l’anno prossimo dovremo pagare 4 miliardi di euro in più per il servizio del debito pubblico che, secondo Bruxelles, salirebbe al 134% del Pil ben oltre il 132,6% previsto dal Documento di economia e finanza. Questo perché il disavanzo viaggia sopra gli obiettivi che lo stesso Governo si è dato: quest’anno sarà del 2,6% e non del 2,04% e nel 2020 arriverà al 3,4% se non ci saranno misure correttive.



E qui casca l’asino: in autunno bisognerà mettere mano a una finanziaria monstre anche perché il Governo parte con un buco aggiuntivo di circa 5,5 miliardi, visto che ha evitato di aggiustare i conti cammin facendo. Se mettiamo insieme i 23 miliardi delle clausole di salvaguardia, i 5,5 miliardi arretrati del 2018 più quelli del 2019, siamo già oltre i 33 miliardi di euro. Con varie ed eventuali dobbiamo attenderci una botta da 40 miliardi che, allo stato attuale, appare insostenibile a meno che lo stellone italico non faccia balzare in alto la crescita trainata, come sempre, dalle esportazioni.

Altro che tesoretto da un miliardo di euro. Ci si accapiglia già su come spendere le risorse che non vengono utilizzate per il reddito di cittadinanza. Di Maio vuole che vadano alle famiglie, Salvini che servano per la flat tax. In realtà, dovrebbero essere usate per ridurre il debito, insieme ai tagli alla spesa annunciati da Tria (solo da lui e senza cifre) e gli introiti per le privatizzazioni (anch’esse finora solo promesse e tutte da realizzare).

E la flat tax? Nell’intervista al Foglio il ministro dell’Economia conferma il suo schema: far aumentare l’Iva sia pure in modo selettivo e finanziare con questo il taglio delle imposte dirette (in che modo è ancora incerto e lo stesso Tria non sembra orientato verso un’aliquota uguale per tutti come vorrebbe Salvini). Questo dovrebbe far sì che la pressione fiscale complessiva non aumenti, sostiene il ministro. Il fatto è che la pressione fiscale dovrebbe scendere, sia pure in modo graduale. Lo ha promesso il “Governo del cambiamento” che in questo caso non ha cambiato nulla. Ma per come si mettono le cose non potrà tenere fede ai suoi proclami nemmeno l’anno prossimo.

Solo riducendo la pressione fiscale si liberano risorse per aumentare la domanda interna e dare un contributo alla crescita. La copertura dovrebbe venire da una riduzione della spesa corrente aumentando quella per gli investimenti. Ma qui la coperta è ancora più corta. Basti dire che non si riesce nemmeno a utilizzare gli investimenti già stanziati.

Lo sblocca-cantieri è in alto mare. È stato annunciato all’indomani della formazione del Governo, quindi circa un anno fa. Il Sole 24 Ore ieri offriva in prima pagina una fotografia deprimente. Riassumendo: per approvare il nuovo regolamento occorre riscrivere 13 provvedimenti, non ci sono le norme per facilitare le nuove autorizzazioni (lì si annidano i ritardi con tempi medi di otto anni), vanno a rilento le nomine dei commissari. Da domani il Senato comincerà l’esame del provvedimento, vedremo che cosa ne uscirà fuori, ma siamo già fuori tempo massimo per suscitare il benché minimo effetto sulla congiuntura economia del 2019 e, probabilmente, anche del 2020.

Questo è lo stato dell’arte mettendo insieme i fatti; il tempo stringe, speriamo che non prevalgano ancora una volta le chiacchiere.