La pandemia sta intaccando alcuni parametri dell’Unione europea finora ritenuti intoccabili, mettendone in luce diversi aspetti strumentali a interessi particolari, piuttosto che comunitari, lontani comunque dalla realtà di molti Paesi. Un’occasione per questi Paesi di proporre strumentazioni più aderenti alla realtà, soprattutto a quella che si presenterà dopo la cessazione della pandemia.
È, per esempio, il caso del debito dei vari Stati membri, al centro del dibattito in corso a Bruxelles e origine di scontri tra i vari governi e, per conseguenza, tra i popoli europei. In discussione è l’entità assoluta del debito pubblico e il suo rapporto con il Pil, indice della sostenibilità del debito stesso. Proprio questo è, invece, il parametro da mettere in discussione: il grado di affidabilità della Pubblica amministrazione è senza dubbio molto importante, ma non si identifica con la solvibilità e quindi l’affidabilità di un Paese.
La solvibilità di un Paese è data dal suo debito globale, cioè dalla somma del debito pubblico e da quello privato, il cosiddetto debito aggregato, che comprende anche il debito delle famiglie, delle imprese e degli enti non finanziari. Secondo un rapporto dell’Eurostat, considerando il rapporto debito pubblico/Pil, nel 2018 l’Italia era al secondo posto con il 134,8%, dopo la Grecia (181,2%), seguita da Portogallo (122,2%), Cipro (100,6%) e Belgio (100,0%).
Se però si prende in considerazione il debito privato, in testa alla classifica troviamo il Lussemburgo (306,5% del Pil contro il 21% per il debito pubblico), Cipro (262,0%), Olanda (241,6% contro 52,4%), Irlanda (223,2% e 63,6%), Svezia (200,0% e 38,8%). L’Italia, con il suo 107,0% si situa al sedicesimo posto, su 28 Paesi, superando diversi altri Paesi “virtuosi”, come Danimarca, Belgio, Francia, Finlandia. La Germania si situa subito dopo di noi, al diciassettesimo posto con 102,7%, ma avendoci “stracciato” con il suo 61,9% su Pil per il debito pubblico.
In questo quadro, è molto interessante un articolo del Sole 24 Ore del 25/08/19 che riporta i risultati di un’analisi effettuata dal gruppo bancario svizzero Lombard Odier. In questa analisi vengono sommati i dati relativi a venti Paesi europei ed extraeuropei per debito pubblico, debito privato e debito degli enti finanziari, espressi in percentuale del Pil. L’Italia svetta anche qui per il debito pubblico, terza dopo Giappone e Grecia, ma sul totale scende al quindicesimo posto con un 311% di debito totale sul Pil, mentre ai primi posti troviamo Irlanda (671%), Olanda (626%), Giappone (537%), Danimarca (495%) e Regno Unito (452%). Anche in questo caso, la Germania chiude la classifica con il 236% (l’altro “leader” europeo, la Francia risulta al 398%).
Prima di passare a qualche conclusione, viene spontaneo notare come tra i Paesi meno solidi, secondo questi dati, vi sia anche quell’Olanda sempre pronta a bacchettare gli altri, in particolare noi italiani. Così come colpisce che, sempre tra i più carichi di debiti globali, vi siano Paesi con regimi fiscali particolarmente favorevoli, come Irlanda e Olanda, o veri e propri paradisi fiscali, come il Lussemburgo, sede peraltro di varie istituzioni europee.
La conclusione è quella già anticipata: la solvibilità di uno Stato membro non può essere stabilita solo sulla base del rapporto debito pubblico/Pil. Ciò che non si capisce è perché il nostro Governo non approfitti di questo periodo di ampie discussioni per porre in modo netto la questione e proporre che l’indice da assumere sia il rapporto tra debito aggregato e Pil. Come visto, le classifiche sarebbero sconvolte e non a sfavore dell’Italia. Alla quale rimane, a ogni modo, il compito non facile di rendere più efficiente l’indice, non solo agendo sul debito, ma anche e soprattutto sul denominatore, il Pil. Altra battaglia da condurre a Bruxelles e contro la sua strumentale austerità.