Bene hanno fatto il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco a complimentare i dirigenti e i funzionari che hanno predisposto il Documento di economia e finanza e che hanno lavorato giorno e soprattutto notte per predisporre il testo di quella che sarà la base della prossima Legge di bilancio. Tra l’altro quest’anno il Def si è dovuto redigere in una fitta nube d’incertezza a ragione, principalmente, di una guerra combattuta in suolo europeo che rende le previsioni, tanto a breve quando a medio termine (il Def, come il bilancio dello Stato, ha un’ottica triennale), molto incerte. Prima di giungere alla redazione finale si sono dovute fare centinaia di simulazioni. Ora le 141 pagine di testo sono all’esame delle Camere; stanno cominciando il loro iter che le porterà alla valutazione della Commissione europea e, successivamente, a una Nota di aggiornamento (Nadef) in autunno e alla preparazione del disegno di Legge di bilancio.
Negli ultimi giorni non sono mancati commenti non solo da economisti e da commentatori, ma soprattutto da forze politiche che, con le elezioni sempre più vicine, vorrebbero compiacere parte del loro elettorato con un aumento dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni (il deficit annuale di bilancio) e quindi dello stock di debito delle pubbliche amministrazioni rispetto a un Pil che ora pare inferiore a quello che si stimava solo sei settimane fa (prima dell’aggressione della Federazione russa alla Repubblica ucraina).
C’è stata, invece, poca attenzione al nesso tra debito, da un lato, e inflazione, dall’altro. Il legame è forte: non solo l’inflazione che in Italia è arrivata in marzo al 6,7% su base annua, un tasso che non si registrava dal 1991 (sarà molto più basso quello dell’inflazione di base che esclude dal computo energia e generi alimentari), preme sui tassi d’interesse al rialzo, ma anche le misure monetarie per combatterla comportano, da un lato, aumento dei tassi e, da un altro, possono fare scivolare l’economia in recessione.
L’Italia ha, di per se stessa, limitata possibilità di manovra. Da concertarsi in ogni caso in seno alla Banca centrale europea (di cui siamo uno dei 19 partner). Anche le azioni della Bce sono solo limitatamente autonome: dipendono dai mercati internazionali, dove domina il peso delle autorità monetarie degli Stati Uniti, del Giappone e della Gran Bretagna. In queste circostanze, poi, è meglio guardare alle obbligazioni che alle azioni.
Jerome Powell, che guida l’autorità monetaria degli Stati Uniti, ha coniato un termine,«disinflazione immacolata», che vuol dire ridurre l’inflazione senza incidere negativamente sulla crescita dell’economia reale. Negli Stati Uniti ciò è stato possibile nel 1964, nel 1984 e nel 1993, mentre alla fine degli anni Settanta il suo predecessore Paul Volcker dovette prendere misure draconiane che portarono gli Stati Uniti, e gran parte dei Paesi Ocse, in recessione. Una «disinflazione immacolata» (in gergo chiamata soft landing – atterraggio morbido) è possibile sino a quando l’inflazione non è entrata nelle aspettative degli agenti economici (famiglie, imprese): in Italia se ne ebbe la prova con l’ugualmente rapido accendersi e spegnersi di alcuni “focolai d’inflazione” nel periodo della transizione dalla lira all’euro.
Cosa stanno facendo le autorità monetarie americane per giungere a una «disinflazione immacolata»? In marzo hanno dato un segnale forte: i rendimenti dei buoni del Tesoro triennali sono aumentati di un punto percentuale e il Federal Reserve Board ha fatto chiaramente capire che è pronto ad aumentare di due punti percentuale il tasso d’interesse di base entro la fine dell’anno se non ci sono chiare indicazioni che le aspettative inflazionistiche stanno diminuendo. Di solito un segnale è l’inversione della curva dei rendimenti, che, pare, stia avvenendo sul mercato obbligazionario americano. Ma Powell crede più nel suo “fiuto” che nella “curva” ed è convinto che gli investitori sono dalla parte sua.
Una mossa peculiare per facilitare il soft landing è stata messa in atto dalla Bank of Japan: il 28 marzo ha annunciato acquisti illimitati di titoli di Stato per i successivi quattro giorni al fine di mantenere contenuto il livello dei tassi d’interesse sui decennali. Misure per certi aspetti analoghe sono state prese dalle autorità monetarie della Repubblica federale tedesca: nonostante in marzo l’indice generale dei prezzi al consumo (non depurato da energia e da alimentare) abbia viaggiato al tasso annuo del 7,3%, il rendimento sui Bund decennali è allo 0,6% (prima era negativo).
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