Quanto più inatteso, quanto più scontato: l’agenzia di rating Fitch ha declassato il merito di credito italiano al livello BBB- (dal precedente BBB) con outlook stabile (rispetto al “negativo” dello scorso febbraio). Il nuovo giudizio – oggettivamente – ha sorpreso tutti. La valutazione era prevista per il 10 luglio, ma, inaspettatamente, è giunta martedì sera. A motivare questo “fuori programma”, l’agenzia sostiene come il suo intervento sia giustificato «dal deterioramento in atto del quadro macroeconomico e della finanza pubblica. Si tratta tuttavia di effetti interamente dovuti a una causa esogena e temporanea (…) che sconta inevitabilmente un considerevole margine di incertezza» (fonte Ansa).



Se la tempistica è discutibile (poiché anticipata), gli elementi evidenziati a supporto della decisione sono tutt’altro che inaspettati: per il 2020 si prevede una contrazione del Pil nell’ordine di grandezza pari all’8% e un debito/Pil al 156% mentre, la ripresa, viene quantificata in un 3,7% nel corso del 2021. Il downgrade era inevitabile; un atto dovuto poiché “già annunciato” in precedenza.



Ebbene sì: una velata anteprima, un preavviso, un avvertimento, era già stato palesato in un recente documento (“Weak Economic Outlook Puts Pressure on Italian Bank Ratings“) sempre a firma Fitch. Noi stessi, lo scorso 10 aprile, riportavamo le conclusioni emerse da parte dell’agenzia su alcune banche italiane: «virtualmente tutti i rating delle banche italiane hanno prospettive negative o sono sotto rating watch con implicazioni negative, a riflesso delle accresciute pressioni sul settore» con la (nostra) mera conclusione di poterci trovare a una «anticipazione ai prossimi giudizi sul nostro Paese (e non solo)».



A motivare questa deduzione vi è lo stretto legame tra titoli di Stato, e detenzione di quest’ultimi, presso le stesse banche italiane: se un istituto di credito viene considerato “con prospettive negative”, ne consegue che il “contenuto” in sua dote non possa avere futuro diverso. Ecco concretizzarsi il diretto responso mediante il rating emesso da Fitch. A seguito di quest’ultimo, l’ufficio stampa del Mef, ha diramato un proprio comunicato stampa dove emerge come «Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Roberto Gualtieri, prende atto della decisione odierna da parte dell’agenzia Fitch», e inoltre, come «La valutazione non tiene conto delle rilevanti decisioni assunte nell’Unione europea, dagli Stati che la compongono e dalle istituzioni che ne fanno parte. In particolare, non sembrano adeguatamente valorizzati l’orientamento strategico della Banca Centrale Europea e gli interventi che si stanno per realizzare con la condivisione delle responsabilità della gestione della reazione alla crisi e dei relativi oneri di finanziamento». Raffrontando il giudizio di Fitch a quello delle altre agenzie di rating, nello stesso comunicato, si legge come queste ultime abbiano «in effetti assunto un atteggiamento più prudente».

Noi stessi siamo convinti che «I fondamentali dell’economia e della finanza pubblica dell’Italia sono solidi» (estratto presente nel comunicato), ma, allo stesso tempo, è pur vero che si debba contestualizzare il già precario stato di salute delle nostre finanze: i conti erano già deboli ancor prima dell’emergenza sanitaria e oggi ne hanno ulteriormente risentito.

Continuando la lettura del comunicato stampa, siamo fiduciosi nell’apprendere come «Il Governo ha la piena consapevolezza dell’esigenza di affrontare questa crisi con misure che non siano solo di carattere emergenziale». Nutriamo invece qualche timore sulla parte conclusiva del testo divulgato: «Interverremo, anche con un’agenda di riforme e di investimenti, per aumentare il nostro potenziale di crescita, con attenzione ai vincoli e alla sostenibilità della finanza pubblica e alla necessità di confermare la traiettoria di riduzione del debito». È opportuno sottolineare come, questi ultimi intenti, siano gli stessi che la comunità finanziaria (tra cui le agenzie di rating) attende da diversi anni.

Come già argomentato, il tempo a nostra disposizione è finito e, al prossimo Consiglio Ue, l’Italia, arriverà ancor più indebolita rispetto alla precedente seduta: non sarà un caso inaspettato, ma, semplicemente, il nostro consueto modus operandi nell’inseguire gli eventi (sempre e solo dopo).

Giunti a questo punto, a salvaguardia del nostro Paese, appare concreto il bisogno di cambiamento.

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