Gli Aztechi sono passati alla storia come “i cacciatori di sangue”, mentre i Romani hanno avuto la nomea di “cacciatori di oro”; questo incipit di drammatica violenza emotiva serve a scuotere le nostre coscienze sui profondi legami che ci legano al passato e alla terra; il cammino è immenso nei tempi della storia e negli spazi delle civiltà, e il sangue e l’oro sono le catene che ci hanno legato e che ancora ci legano.



Altre volte, si è parlato del tempio di Salomone intorno al 1.000 a.C. come vero e proprio tesoro leggendario che accumulava nelle sue architetture e nei suoi paramenti 300 tonnellate d’oro circa sulle 5.000 conosciute nel bacino delle civiltà del Mediterraneo e dei suoi confini frequentati; giova ricordare a questo punto che nell’epoca di cui parliamo, la quantità incommensurabile (per i tempi) di oro giaceva nell’Egitto dei Faraoni (circa 1.500 tonnellate); non c’è che dire sulla fascinazione di questa ricchezza; ricchezza, quella egiziana, che ha attraversato i secoli con un velo sinistro di sciagure.



Invece, presso i pellerossa dell’America settentrionale e fino alla distruzione della loro civiltà da parte degli Stati Uniti e in misura minore da parte dell’impero britannico e del reame spagnolo, l’oro era considerato proprietà del Grande Spirito (Wakan Tanka); le Black Hills, piccola catena montuosa isolata che giace tra Wyoming e South Dakota, erano piene d’oro e scatenarono anch’esse una corsa all’oro da parte dei bianchi e così dando inizio a una delle innumerevoli guerre indiane degli anni centrali del 1800; ma quello che colpisce è che lo spazio tra le Black Hills e la catena dei monti Teton (piccola diramazione delle montagne rocciose), con a sud la delimitazione del fiume Platte – e grande questo territorio poco più della Pianura padana e pianeggiante come la stessa -, si trasformava in alcuni periodi dell’anno in uno spazio sacro: non poteva cioè essere percorso dalle comunità Sioux, Cheyenne, Arapaho per le vicende quotidiane e ordinarie, ma solo da individui e gruppi di indiani autorizzati in maniera sacrale e con uno scopo ampio per la collettività oppure per la coscienza di un individuo; per l’appunto l’oro delle Black Hills rappresentava la quota in terra dello splendore del Grande Spirito e il suo tempio.



Più a sud invece, di circa 2.000 km , i Comanche – la nazione indiana più bellicosa, potente e ricca – aveva un approccio con l’oro dissacrato per la sensibilità delle tribù del nord di prima; in sostanza i Comanche avevano fatto propri tanti usi e utilizzi della ricchezza di concezione europea; addirittura i capi più influenti e tanti guerrieri importanti, tramite le fazende spagnole, avevano studiato con attenzione e dedizione il latino e la storia di Roma: se ne sentivano in qualche modo toccati, continuatori per certi versi.

L’ oro e i cavalli simboleggiavano lo status e la ricchezza dei Comanche: odiati, temuti, apprezzati, fascinatori della generalità delle tribù indiane del Nordamerica. Tra le altre cose, va ricordato che i Comanche facevano parte del gruppo linguistico uto-azteco, quindi della stessa etnia azteca, e questo ci da il la per affermare che l’imperatore azteco Montezuma 2 (quello di Cortes insomma del 1519) era l’uomo che all’epoca, a livello dell’intero globo viveva nello sfarzo e nel lusso maggiori; il pranzo era servito sempre con 35 portate diverse su piatti e vasellame d’oro, e lo stesso per tutti gli altri utensili per mangiare; l’oro presso gli aztechi era comunque prezioso e usato ma comunque sacro; infatti, il ruolo di moneta lo svolgeva un altro materiale che è comunque “aureo”: i semi di cacao

Presso gli Inca invece solo l’Inca (l’imperatore) poteva possedere oro, nessun altro suddito lo poteva fare, pena la morte; date anche le immense miniere dell’America meridionale e questa organizzazione sociale e culturale, si può ragionevolmente affermare che l’Inca è stata la persona singola che in tutta la storia dell’umanità, dagli albori fino ai nostri giorni, abbia posseduto la maggiore quantità d’oro: circa 16.000 tonnellate.

Ecco da dove nasce la leggenda di Pizzarro e delle quantità sterminate d’oro che fece arrivare nel vecchio mondo, praticamente ne raddoppiò le quantità allora conosciute dando il via alla caduta più drammatica dei prezzi e del valore del metallo; caduta che addirittura diventò senza fine per l’argento data l’immensità delle miniere sudamericane.

E possiamo dimenticare il mito di Re Mida? Trasformare tutto in oro fino a morire di fame dato che ogni alimento che portava alla bocca diventava d’oro; e i fatti storici di Creso, re ambizioso e ricchissimo della Lidia? Con l’oro pensava di comprare tutto.

Ma per dare il senso del disordine e della potenza dei fatti umani, si deve riflettere sul fatto che intorno al 450 a.C., punto di fulgenza dell’impero ateniese, le forze navali di tale impero venivano finanziate dall’argento delle miniere in calcidica; questo per dare l’idea di come era prezioso anche l’argento al tempo. Infatti il rapporto con l’oro era di 1 talento d’oro per 10 di argento.

Non abbiamo ancora parlato della Cina, ma è giunto il momento; innanzitutto, Cina vuol dire “centro”: si è cinesi perché si è il centro della circonferenza che rappresenta l’universo. A questo centro non era abbondante l’oro in epoca storica, a differenza dell’India, e per tale motivo i cinesi ne costruiscono un più che degno sostituto: la porcellana.

Ai tempi moderni con la tecnologia del Novecento, la Cina può attingere a miniere in profondità: attualmente è il maggior produttore mondiale d’oro tra rifusioni e miniere. I cinesi ammirano noi italiani per l’oro a disposizione che da l’idea di Italia tutta, avversano l’India per questo scambio di ruoli: l’oro avrebbe dovuto illuminare il dragone.

Ulteriore viaggio dell’oro, probabilmente uno dei più imponenti è nelle steppe: l’oro dell’Asia centrale, l’oro degli slavi, l’oro dei Germani. Tutti questi popoli nomadi e cavalieri  dell’oro ne avevano sempre disperato bisogno perché era il confine tra la fame e la sopravvivenza, quando si doveva acquistare e non guerreggiare con i reami e gli imperi stanziali; vengono mantenute tantissime caratteristiche sacrali dell’uso dell’oro, così come  i pellerossa, ma forse con tanta meno nobiltà e stile; a dirsi uno stile Comanche: predone, opportunista, vero e violento, spirituale.

Si deve essere poi quasi certi che l’oro del distrutto tempio di Salomone sia andato a finire a Babilonia e quindi poi in retaggio dei Persiani Achemenidi (Dario Istapse, Serse, ecc.), poi ancora i regni ellenistici; qui arriva Roma e la sua nomea: una forsennata ricerca dell’oro del tempio di Salomone.

Ma i Romani così come tutte le civiltà antiche del Mediterraneo avevano in mente l’oro della Nubia: si iniziava dall’Egitto e poi giù nella sconosciuta e fascinatrice Africa Nera; per gli antichi era letteralmente piena d’oro; a tal proposito, i monili d’oro dell’Africa nera e pre-colonizzazione sono potentemente intensi e il territorio di incontro di tutte le forme di arte e di sacralità in questa Africa era il Sahel con alcune iconiche città dei commerci e dell’oro a confine col Sahara pieno.

In definitiva, tramite questa corsa disordinata nei fatti e nelle civiltà di ogni tempo si è inteso dare “il senso” della fascinazione e del bisogno di oro da parte dell’uomo; però mai come ai tempi attuali si levano voci, soprattutto dagli Stati Uniti di tagliare per sempre i ponti con questi retaggi del passato, e dare così all’oro il valore che gli tocca solo dagli effettivi usi della modernità: applicazioni industriali e gioielli.

Per chi sogna una modernità senza se e senza ma, da ora, il vero oro moderno è nel futuro e nel relativo progresso tecnologico, che altro non vuol dire che la potenza delle capacità umane è senza più centri e periferie; qualcosa di simile, ma per nulla identico si ebbe col Rinascimento italiano: l’uomo diventava attore centrale e soprattutto esplicitato del suo ruolo nel mondo che viveva; per l’appunto però l’uomo del Rinascimento non violava gli altri e più immensi ordini dell’universo: l’entità trascendente, il fato, le altre credenze. Quello che invece sta avvenendo da metà degli anni Novanta, con gli Stati Uniti in testa, è la costruzione di universo letteralmente “dissacrato”, dove cioè in senso assoluto non ci sia più posto per il sacro e le sue “storture”: la frontiera nuova dell’uomo, prodotto e creatore di se stesso, e per tale verso ordinatore e dominatore, e non più bisognoso di un rapporto con forze ed entità sconosciute.

E per tale via tutti i paramenti e le immagini di questi antichi incubi devono scomparire: tra essi, uno dei più importanti, è il significato e il ruolo che finora si è dato all’oro.

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