Nell’Eurozona la ripresa sta accelerando e parecchi analisti stimano che il calo del Pil 2020 possa essere minore del previsto. L’eurocrescita ha come motori per il 55% i consumi e per il 20%, gli investimenti. In Germania e Italia il peso dell’export è maggiore e questo è stato colpito dal calo della domanda globale a causa della pandemia. Pur Germania e Italia proiettate a mantenere un saldo attivo tra importazioni ed esportazioni, fino al 2021 inoltrato dipenderanno molto dall’export entro il mercato europeo. Pertanto che in questo ci sia un robusto rimbalzo della crescita è motivo di ottimismo. Ma serve una leva forte per consolidarlo.



Se ci fosse più fiducia nel futuro, le famiglie, spenderebbero molto più denaro risparmiato precauzionalmente nei mesi scorsi e più rapidamente, aumentando i consumi, gli investimenti privati e l’occupazione. Anche per tale motivo – l’altro è difendere la coesione della regione su cui con la Francia ha il dominio -, la Germania ha deciso di abbandonare il rigore: finanziare con eurogaranzie i compratori del suo export, in particolare Italia e Spagna, nonché Francia, cioè circa 150 milioni di consumatori a rischio di impoverimento per evitarlo ai lavoratori tedeschi.



L’Italia è stata forzata, oltre che incentivata, ad accettare l’aiuto europeo (il negoziato è stato complicato solo sui dettagli e non nell’esito presidiato da Berlino) e una sorta di divieto a soluzioni nazionali non a debito, per esempio il prestito irredimibile. Perché? Poca fiducia nella capacità del Governo italiano di sostenere il debito e una buona ripresa o strategia di condizionamento dell’Italia per evitare sue eurodivergenze che implica creare una dipendenza e non lasciare spazio per soluzioni autonome? Da capire, esauriti i trionfalismi nostrani. Ma è già chiaro che i soldi europei arriveranno nel 2021-22 e con modifiche dovute all’approvazione dei parlamenti nazionali. Ciò rende incompleta la produzione della fiducia utile alla ripresa.



Per rinforzarla è evidente che ogni eurogoverno debba dare un contributo nazionale stimolativo maggiore. Va segnalato che quello italiano è divergente per troppo assistenzialismo, inefficienza e insufficienti stimoli al mercato, purtroppo giustificando la pressione condizionante europea sul Piano nazionale di riforme in discussione.

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