23 maggio 2018: esattamente un anno fa, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, conferiva a Giuseppe Conte l’incarico di formare il Governo quale emanazione della volontà del Movimento 5 Stelle e della Lega. Il giurista Avv. Prof. Conte accettava il mandato conferitogli ma con riserva, la medesima che gli stessi mercati finanziari facevano trasparire a causa del futuro incerto per il nostro Paese. A distanza di qualche giorno, il 27 maggio, l’auspicato premier scioglieva la riserva rimettendo al Presidente Sergio Mattarella l’onere di formare l’esecutivo. Dopo estenuanti ore di negoziazione e una moltitudine di confronti dentro e fuori “il palazzo”, il 31 maggio, veniva riconvocato – dopo il coinvolgimento dell’economista Carlo Cottarelli – l’Avvocato che, in sole 24 ore, diveniva l’Avvocato «che tutelerà gli interessi del popolo italiano».



Mentre all’interno delle stanze del nuovo costituente Governo si respirava “aria di cambiamento”, fuori, in ben altri luoghi molto più angusti, i mercati finanziari affrontavano la loro ansia attraverso una prudente e affannata ricerca di copertura rispetto a un eventuale rischio Paese; sui monitor, i valori dei credit default swap a 5 anni – in soli cinque giorni – raddoppiavano il loro ammontare passando da 138,6 (rif. 22 maggio) a 283,4 dollari.



È passato un anno. Un periodo caratterizzato da innumerevoli eventi e avvenimenti che hanno scandito l’azione dell’esecutivo in carica sentenziandone i dati prima annunciati e successivamente diffusi. Oggi i credit default swap a 5 anni sull’Italia sono a quota 212,5 dollari. Un corrispettivo che, in termini assoluti, non rappresenta la “vita finanziaria” di quanto finora accaduto, sta accadendo e – con molta probabilità – potrà accadere in vista delle prossime e ormai imminenti elezioni politiche europee.

Al fine di poter contestualizzare oggettivamente questa “preoccupazione” è necessario fare uno sforzo di natura quantitativa e procedere a un’omogeneizzazione (su base comune 100) dei dati presenti sul mercato. Ricorrendo pertanto a un riferimento comune di partenza ovvero all’acronimo Pigs (poi ampliato in Piigs) e ponendo l’attenzione alle quotazioni dei cds a cinque anni dei rispettivi paesi (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) con data di partenza in corrispondenza del 22 maggio 2018, si assiste a un andamento difforme tra ciascuna delle serie storiche analizzate: si parte dai 69,66 dollari del Portogallo, passando ai valori ravvicinati di Grecia e Spagna (rispettivamente a 97,441 e 99,102 dollari) per successivamente varcare la soglia delle tre cifre a quota 118,773 dell’Irlanda per infine concludere con il valore più alto fatto registrare – dall’Italia – in corrispondenza di area 153,319 dollari.



Si tratta di un’analisi empirica priva di compromessi che, se contestualizzata alle quotazioni in corso del solo mese di maggio, vede un incremento del valore dei cds del Bel Paese lievitare di oltre 13 punti percentuali (da 187,5 a 212,5) rispetto a una media di neppure due punti e mezzo degli altri paesi.

Dati che devono far riflettere. Una riflessione che si è già convertita in azione da parte del mercato. Quest’ultimo, come sempre, si è mosso senza clamore, nell’ombra, in modalità silenziosa, e distraendo gli osservatori mediante la ristretta visibilità del solo faro allarmistico rappresentato dallo spread.

Si legge e si continua a discutere su come il futuro del nostro Paese sia sempre più incerto: questo accade con ogni tipo di esecutivo. La recessione (tecnica o reale), gli effetti di una possibile stagnazione, il rallentamento economico globale, le crisi internazionali, le guerre, ecc. sono tutti elementi che giustificano (a posteriori) il dato numerico che viene creato. Mai il contrario.

Oggi, alla vigilia di un significativo momento della vita del nostro Paese, non possiamo negare che il mercato stia già apertamente manifestando la propria logica anticipatoria: i numeri lo confermano ora (ovvero prima) mentre il loro commento arriverà, come sempre, solo dopo.