Caro direttore, credo che il ministro Gualtieri abbia commentato in maniera egregia l’infelice uscita di Christine Lagarde del 12 marzo: “Ha sbagliato comunicazione e la comunicazione di questi tempi è tutto, come si vede dalla reazione dei mercati“. Queste le parole della Presidente della Bce, riportate dalla stampa: “Non siamo qui per chiudere gli spread…Non voglio essere la whatever it takes numero due“. Ancora più infelice è stata la precisazione successiva, poco convincente, ancorché vera: “Sono pienamente impegnata ad evitare qualsiasi frammentazione dell’area euro in un momento difficile. Gli spread elevati inficiano la trasmissione della politica monetaria“.



Il giorno successivo, il capo economista della Bce, Philip Lane, è intervenuto, capovolgendo, in fondo, il senso delle parole pronunciate dalla Presidente: “Siamo pronti a fare di più e ad adottare tutti i nostri strumenti, se necessario, per assicurare che gli alti spread che vediamo oggi, a causa dell’accelerazione del coronavirus, non mettano in pericolo la trasmissione della nostra politica monetaria in tutti i Paesi dell’Eurozona“.



Peccato, perché il pregiudizio contro la celebre frase pronunciata da Mario Draghi nel 2012, che ha salvato l’euro (“whatever it takes“, appunto) la costringerà probabilmente a passare alla storia come M.me “Lagaffe”, così da alcuni già ribattezzata. Eppure le misure adottate andavano nella direzione giusta: fornitura abbondante di liquidità a favore delle banche dell’Eurozona a tassi più negativi per spingere le banche a prestare denaro alle imprese, soprattutto medio-piccole e acquisto massiccio di titoli di debito soprattutto di aziende, per 120 miliardi aggiuntivi entro fine anno.



All’obiezione immediata, ossia che si tratta di misure troppo timide, risponderei, da profano, che l’arsenale va messo in campo un po’ alla volta: usare subito l’artiglieria pesante potrebbe essere controproducente. Il senso di quella tragica conferenza stampa, infatti, voleva essere un forte appello ai Governi: in questa emergenza, sanitaria ed economica, non può bastare la sola politica monetaria della Bce, per quanto espansiva, ma è necessaria anche una politica fiscale da parte degli Stati membri dell’Unione europea, che sembra essersi svegliata nei giorni successivi, anche se per il momento solo l’Italia ha varato misure straordinarie, benché certamente – come alcuni hanno osservato – non ancora sufficienti, ignorando l’evoluzione di questa pandemia, di questo strano virus che fa paura a tutti, poiché nessuno sa bene che cosa sia e, quindi, per dirla tutta, quanto possa durare.

Lo shock subito dal sistema economico invade sia l’offerta (rallentamento o blocco della produzione), sia la domanda (provvedimenti restrittivi, crollo della fiducia, paura dilagante, difficoltà di lavoro e di condizioni economiche, che potrebbe presto diventare fatale); sono, quindi, necessarie misure dei singoli Stati per sostenere il tessuto produttivo e rilanciare la domanda. In questo contesto, il ruolo della Bce è fornire tutta la liquidità necessaria a condizioni assai agevolate, sia direttamente attraverso le aste di rifinanziamento, sia indirettamente, attraverso l’intero utilizzo da parte delle banche dei propri fondi. A ciò, si affianca l’impegno a contenere le tensioni sui mercati finanziari potenziando il programma di acquisto titoli, in particolare le emissioni corporate.

Altra novità importante è aver allentato i vincoli regolamentari per le banche, in modo da creare migliori condizioni per fornire liquidità alle imprese.

Il sostegno della Bce, letto solo in chiave “assistenziale”, ai Governi degli Stati membri e, d’altro canto, la carenza di interventi da parte di questi ultimi, ha profondamente deluso i mercati, determinando un enorme incremento della volatilità e portando lo spread tra Btp e Bund oltre i 250 punti base.

Tale circostanza ha evidentemente spinto la Banca centrale a mutare drasticamente i suoi piani, arrivando così il 19 marzo ad annunciare un vasto programma (“Pandemic Emergency Purchase Program” – Pepp) per contrastare la pandemia, prevedendo l’acquisto di obbligazioni di emittenti pubblici e privati degli Stati membri per 750 miliardi, fino a fine 2020: “Tempi straordinari richiedono azioni straordinarie“, ha questa volta affermato la nostra Christine, accennando, inoltre, a una maggiore flessibilità nell’acquisto titoli, forse implicito riferimento alla possibilità di scostamento dalla regola che obbliga la Bce ad acquistare titoli in proporzione alla quota di capitale detenuto da ogni singolo Paese nella Banca Centrale (cioè la regola della “capital key”, sostanzialmente in funzione del Pil nazionale); ciò favorirebbe senza dubbio i Paesi con elevato debito pubblico, come il nostro.

Cosa fare ancora? Non saprei. Certamente, passata questa pandemia – e preghiamo Dio che avvenga presto – non potrà più essere rinviata, a mio avviso, una riflessione sull’unità politica europea, non solo monetaria. Per ora, possiamo solo sperare in una forma di coordinamento quanto più possibile unitario, mettendo finalmente da parte le piccole diatribe di sempre.

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