È venuto il momento, ha detto il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, di avviare in Italia e in Europa la manovra anti-ciclica che il presidente della Bce Mario Draghi richiede a gran voce quando dice che la politica monetaria è arrivata al suo massimo possibile e ora tocca all’Ue e ai singoli Stati fare molto di più per la crescita con cambiamenti strutturali e rilancio della produttività.
È venuto il momento, dunque, di rompere gli indugi e varare prima di ogni altra cosa un piano d’investimenti che per l’Italia potrebbe quotare ben 170 miliardi: 100 come riparto del fondo da 1.000 miliardi che i Paesi dell’Unione dovrebbero finanziare con eventuale emissione di Eurobond e 70 da recuperare all’interno della dotazione finanziaria già disponibile presso regioni ed enti locali.
L’associazione dei costruttori (Ance) assicura che ad attendere il via libera in Italia ci sono ben 749 opere – ben distribuite al Nord, al centro e al Sud – delle quali 101 per importi superiori ai 100 milioni. Si tratta di cantieri che aspettano di essere attivati da anni e che per un motivo o per un altro restano ostinatamente chiusi arrecando al Paese un danno altissimo e non più sopportabile.
Se, infatti, dal 2007 al 2018 l’Europa tutta ha perso 400 miliardi d’investimenti l’anno, minando in questo modo la sua capacità competitiva, nello stesso arco di tempo sono almeno 100 i miliardi di mancato investimento pubblico in Italia. Con le conseguenze che possiamo apprezzare in termini di mancata crescita e di crisi dell’occupazione, specialmente giovanile.
Da questo stagno – osserva Boccia – ci dobbiamo tirar fuori come Italia e come Europa inaugurando una nuova stagione riformista che faccia della sua bandiera proprio la ripresa degli investimenti in infrastrutture mirando a raggiungere più obiettivi: avviare la manovra anti-ciclica che Draghi chiede e, allo stesso tempo, connettere territori, ridurre distanze, includere persone.
Come già nel documento di Verona e poi nella manifestazione di Torino dello scorso anno, Confindustria invita a considerare con grande attenzione l’opportunità che oggi si presenta in Europa dove il comune sentire – accentuato dalle difficoltà economiche avvertite dalla stessa Germania – permette di capovolgere il patto di stabilità e crescita in un più attuale patto di crescita e stabilità.
È la crescita, infatti, a determinare la stabilità e non viceversa. Ed è la crescita l’unica medicina per curare il principale male dell’Unione e in particolare dell’Italia: la mancanza di lavoro. Di quel lavoro che dovrebbe invece essere al primo posto delle preoccupazioni della politica dal momento che figura al primo articolo della nostra Costituzione. Lavoro come fonte di libertà e coesione.
Abbiamo davanti a noi l’occasione unica di superare le difficoltà che tutti, più o meno, in Europa stiamo affrontando cementando un patto d’azione comune che restituisca fiducia a Stati e popolazioni nel presupposto che la concorrenza non può essere tra Stati d’Europa ma tra l’Europa e il mondo esterno per diventare, insieme, quel gigante politico che ancora non siamo.