Continua, senza più alcun freno, il crollo catastrofico dei mercati finanziari. Dopo una settimana che è stata la peggiore settimana di sempre (condita da alcune giornate che sono state le peggiori di sempre per alcuni mercati finanziari, incluso per esempio la Borsa italiana, che giovedì scorso ha fatto segnare un -16,9%), quella attuale è iniziata con lo stesso, identico tenore.



Una volta c’era un movimento tipico al rialzo che veniva chiamato “rimbalzo del gatto morto” e con questo si indicava l’illusione di un recupero dopo un crollo importante, tanto importante da segnare l’inizio di una fase ribassista. Quando inizia una fase ribassista e il trend si mantiene nel tempo, ogni rialzo dà l’illusione di una inversione, di un possibile nuovo inizio, dell’inizio del tanto sospirato recupero. Ma si tratta di un’illusione, come un gatto che cade da grande altezza e non riesce a cadere sulle quattro zampe e quindi muore schiantandosi per terra, ma non si schianta e rimbalza: quindi per un attimo sembra che ce l’abbia fatta.



Invece no, quando la caduta è troppo grave, ogni eventuale rimbalzo è un’illusione. Ma più di mille parole, qualche grafico serve meglio a renderci conto della gravità della situazione in atto. Ecco il grafico del principale mercato americano, l’indice SP500.

I dati riportano l’andamento da novembre a oggi. Come si vede siamo fuori scala.

Ecco il Dax tedesco.

Ed ecco l’italiano Ftse Mib.

Per tutti gli altri indici mondiali, l’andamento è del tutto analogo.

Questi grafici però non possono dare la reale dimensione del disastro in corso finché non abbiamo sul grafico un punto di riferimento nel passato.



Prendiamo il Dax e prendiamo gli ultimi cinque anni. Vi sembrano tanti? Vediamo!

Ecco qui, 5 anni ci dicono qualcosa di significativo, perché ci dicono che due settimane abbiamo rifatto indietro la strada degli ultimi quattro anni (vedete il minimo nel 2016?), ma non basta. Perché non basta? Perché dobbiamo avere un punto di riferimento più basso, per capire in quale territorio ci stiamo inoltrando. Allora prendiamo dieci anni!

Ecco, ora iniziamo ad avere un quadro più chiaro: in due settimane abbiamo fatto al ribasso quello che al rialzo abbiamo fatto in circa 9 (nove!) anni. Ma dell’attuale discesa non si vede la fine, fino alla quota dei minimi del 2011, cioè fino al valore di 5500.

Ora, alla chiusura di lunedì, il Dax si trovava alla quota di 8500 e arrivare fino a 5500 vuol dire perdere un ulteriore 35% circa. Ma dai massimi di inizio gennaio, quando si trovava intorno a 13200, vuol dire sfiorare una perdita del 60%.

E perché, arrivati a 5500, dovrebbe fermarsi e risalire? Cosa dicono i commentatori più autorevoli? Riassumendo in breve, dicono che è peggio del 2008. Allora andiamo a vedere questo 2008 (che in realtà è iniziato nel 2007). Vediamo finalmente il grafico completo dal 1970 a oggi.

Finalmente abbiamo uno sguardo completo della situazione.

Ho voluto mostrarvi i diversi grafici parziali per aiutarvi a comprendere quanto questi, pur veritieri, possano nascondere la possibilità di avere un quadro generale che ci aiuti a comprendere come stanno veramente le cose.

Indubbiamente la caduta fino a 5500 è poderosa. Ma cos’è accaduto in quel periodo, nel 2011? C’è stata la famosa crisi del debito sovrano e poi la crisi dell’Italia in particolare, che ha portato alla caduta del governo Berlusconi (e lo spread a 700) e avemmo a novembre la nascita del governo Monti. Il crollo delle borse avvenne anche perché, con il governo Berlusconi, c’era un’alternativa chiara: o l’Europa risolveva il problema oppure saremmo usciti dall’euro.

In Europa avevano però un’altra idea: rimanete nell’euro e il problema è tutto vostro, pagate voi il conto. Sappiamo politicamente com’è finita, ma l’economia è una scienza interessante perché, almeno su certi aspetti, si basa sulla forza dei numeri e se un sistema non sta in piedi non è cambiando un presidente del Consiglio che si fanno tornare i conti con i numeri. La matematica se ne frega chi è il presidente del Consiglio.

Ora gli esperti dicono che è peggio del 2008, quando l’indice Dax perse circa il 52% del suo valore arrivando a 3800 punti (da 8000 dell’agosto 2007). Però non dicono “è come il 2008”, ma “è peggio del 2008”, quindi occorre tenere in considerazione il minimo del 2003 a quota 2400 punti. Una quota del genere, raggiunta a partire da 13200 punti toccati ai primi di gennaio del 2020, equivarrebbero a una caduta pari all’81,2%.

Qui qualcuno potrebbe pensare “beh, ma questo è esagerato!”. Io invece vi invito a considerare un fatto semplice. Tali indici non sono aria fritta, ma dovrebbero essere un indicatore limitato ma affidabile dell’andamento dell’economia reale, poiché rappresentano l’andamento delle maggiori aziende di un Paese, quelle aziende che producono beni e servizi reali e danno tanti posti di lavoro.

Ma se l’economia sono vent’anni che ristagna, allora sono stati questi indicatori a essere impazziti e ad aver raggiunto valori che non corrispondono alla realtà. Ma con la realtà prima o poi bisogna fare i conti e quindi, se l’economia reale negli ultimi dieci anni è cresciuta del 20% mentre il mercato finanziario (tedesco) è cresciuto del 230%, ora non ci si deve meravigliare se i due valori in qualche modo si riallineano.

Purtroppo c’è di peggio. Ora sono appena arrivati i dati sull’economia cinese e sono dati catastrofici: la produzione industriale segna un -13,5% mentre i consumi al dettaglio segnano un -20%. E siccome l’economia cinese da sola è pari al 20% del Pil del mondo e siamo in un mondo iperconnesso, questo avrà un effetto sul mondo intero, proiettando l’economia europea e nazionale in uno scenario post-bellico.

A questo punto è chiaro che l’ideologia globalista, già messa in crisi gravissima da due consultazioni popolari (la vittoria di Trump e i conseguenti dazi e poi il referendum sulla Brexit), ora esce con le ossa rotte e sta per essere definitivamente archiviata. In Italia non viene riportato nulla, ma in Germania il linguaggio delle istituzioni governative e dei politici è completamente cambiato. Non solo si parla di investimenti da 550 miliardi (sottolineando che è una decisione temporanea, perché la disponibilità è illimitata, per fare tutto quello che serve fare), ma si parla letteralmente di riportare in patria produzioni che ora ci si rende conto essere state affidate scriteriatamente all’estero solo per convenienza, produzioni estere che ora vengono a mancare e che stanno bloccando la produzione tedesca. Si parla esplicitamente di (orrore!) ripresa della sovranità e di nazionalizzazione di certi settori, dove la scelta di questi settori (orrore!) verrà fatta non a livello europeo ma a livello governativo, a livello nazionale.

Se le cose stanno così, è chiaro che l’Unione europea non c’è più e l’euro è un fardello di cui anche i tedeschi, al momento opportuno, si libereranno. E stampando moneta attraverso la banca pubblica KfW (non sottoposta al controllo della Bce) lo stanno già facendo. Stanno usando l’euro come moneta propria in barba a ogni spirito europeista. E i politici italiani che ancora difendono questo sistema appaiono essere come l’ultimo soldatino giapponese che vent’anni dopo la fine della guerra ancora tenacemente difendeva l’isolotto che gli era stato affidato.

C’è un ultimo punto che mi preme sottolineare. Spesso ho parlato del signoraggio bancario, facendo riferimento a quanto afferma la Banca d’Italia sul tema nella pagina dedicata sul suo sito ufficiale. La stessa Bankitalia afferma che c’è una differenza tra quando la stampa una banca centrale e quando lo fa lo Stato. Quando lo fa la banca centrale, il signoraggio è il rendimento dei titoli comprati col denaro creato. Invece quando è lo Stato a stampare, questo acquista beni e servizi e “realizza immediatamente il controvalore, al netto dei costi di produzione” (della stampa, che quando è elettronica è nulla). Basti pensare che solo nel periodo dell’euro, tale valore complessivo in riferimento alle sole banconote ha superato abbondantemente i 100 miliardi. Tutto denaro che lo Stato italiano non ha (perché non l’ha stampato lui, ma lo ha preso a prestito aumentando il debito) e che in questo frangente sarebbe di un’utilità estrema.

Questa è la potenza di fuoco che la Germania si appresta a usare con la propria banca pubblica, stampando denaro dal nulla. E noi cosa facciamo? Tiriamo fuori miseri 25 miliardi, di cui appena 3 per la sanità, che negli ultimi dieci anni ha subito tagli per 37 miliardi. Capito ora il disastro del sistema economico e sociale (e sanitario) che i mercati finanziari si apprestano a seguire?