Chissà se anche Mediobanca è un’impresa-zombie, nell’accezione che ne ha dato il nuovo Premier Mario Draghi. È da un ventennio – dalla scomparsa di Enrico Cuccia – che in molti provano a rottamare l’istituto dominus della finanza italiana lungo la seconda metà del secolo ventesimo. 



La Mediobanca odierna non è più certo quella del giro di boa del 2000: ancora salda padrona delle Generali e del Corriere della Sera, reduce vittoriosa dall’Opa Telecom e regista dei suoi destini; ancora decisiva negli assetti della Fiat e di molti altri gruppi. Però nessuno è ancora riuscito a conquistare il fortino di via Filodrammatici: dove tuttora comandano – almeno formalmente – due allievi ed eredi diretti come il presidente Renato Pagliaro e l’amministratore delegato Alberto Nagel.

È vero che i blocchi di soci tradizionali si sono via via sfaldati (con l’uscita finale di UniCredit, ma anche con l’indebolimento del fronte europeo pilotato da Vincent Bolloré). Il management storico, intanto, si ritrova a dirigere una banca d’affari non più centrale neppure in Italia: soprattutto nei confronti del nuovo protagonismo della Cdp.  Anche la quota di maggioranza relativa nelle Generali luccica un po’ meno: non è più la leva di controllo su dirigenti di stretta osservanza triestina (Ceo è oggi il francese Philippe Donnet) e soprattutto ha perso peso nel progressivo rafforzamento di altri soci italiani. Francesco Gaetano Caltagirone (5,6%), Leonardo Del Vecchio (4,8%) e la famiglia Benetton (3,8%).

Nel frattempo proprio Del Vecchio ha avviato un’offensiva a monte su Mediobanca: di cui il finanziere-industriale è divenuto il primo azionista (11%) con l’autorizzazione a salire fino al 20% (anche se con l’impegno tacito a non essere per il momento ostile verso i manager). È su questo sfondo in movimento che ieri  si è aggiunto un tassello non banale: con l’annuncio di Caltagirone di aver acquisito l’1% di Mediobanca. Pochi giorni fa: cioè dopo il giuramento-spartiacque nel Governo Draghi.

L’arrivo dell’ex capo della Bce a Palazzo Chigi – al di là della “dottrina zombie” – è verosimile apra una fase di riassetti fra i grandi player di molti settori-chiave dell’Azienda-Italia. Il settore bancario-assicurativo – da sempre centrale e delicato – fortemente indiziato di divenire teatro di operazioni di consolidamento: basti pensare al nodo-Mps e alle mosse di UniCredit e  BancoBpm. Ma già nella recente epoca “giallorossa” – e già nel pieno della crisi-Covid –  non sono mancate le condizioni per uno sviluppo di primo livello come l’Opa di Intesa Sanpaolo su Ubi, con l’importante cessione collaterale di centinaia di sportelli a Bper, sotto la regia di Unipol. Su sta avvicinando un d-day anche per Mediobanca e Generali?

La mossa di Caltagirone conferma quanto meno che che lo scacchiere è in pieno movimento e che c’è gioco di squadra con Del Vecchio. Due tycoon italiani dotati entrambi di patrimoni personali ingenti e ambedue ben collegati con la finanza francese (Del Vecchio attraverso Essilor e l’immobiliare Covivio; Caltagirone attraverso Suez). Nella concitata  fase iniziale del dopo-Cuccia Vincenzo Maranghi trovò nell’arrocco francese la difesa contro le mire su Mediobanca-Generali. Oggi la chiave d’ingresso in piazzetta Cuccia – e quindi nella gabbia del Leone di Trieste – potrebbero rivelarsi i solidi accreditamenti in Francia dei due billionaire italiani: mentre lo stesso Financial Times ha additato l’asse in formazione fra Draghi ed Emmanuel Macron come il piedistallo di una nuova leadership Ue.

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