L’onere di togliere le prime castagne dal fuoco al secondo governo Conte grava principalmente sulle spalle del nuovo ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. A differenza dei suoi predecessori a Via XX Settembre non è né un economista né un esperto di fisco o di bilancio, ma uno storico. Professore di storia contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e vicedirettore della Fondazione Istituto Gramsci, è autore di numerosi libri e articoli sulla storia italiana e internazionale del ventesimo secolo e sul processo di integrazione europea. Ha diretto il Rapporto annuale sull’integrazione europea per la casa editrice Il Mulino.



Quando lavoravo alla Banca Mondiale, Robert S. McNamara, il quale, per motivi utilitari aveva dovuto abbandonare gli studi storici e diventare un attuario prima di arrivare ai vertici della Ford Motor Company e del Pentagono e di diventare poi un banchiere internazionale, amava dire che la ricerca storica è essenziale per una buona comprensione dei fenomeni economici.



È noto che Gualtieri, grazie alla sua lunga esperienza al Parlamento europeo, alla guida della commissione parlamentare preposta ai temi economici, ha una conoscenza approfondita delle problematiche economiche e dell’integrazione europea e dell’Italia in Europa. È anche noto che viene considerato, a ragione, un “espansionista”, convinto che i nodi europei, e italiani, si possano sciogliere tramite la crescita e non con la stagnazione o, ancor peggio, con quella recessione delle cui avvisaglie si è parlato spesso su questa testata e che i dati sugli ordinativi in Germania pubblicati sabato 6 settembre minacciano grave e profonda. Partecipa da anni a diversi gruppi di studio economici sull’Europa e ha un carattere bonario come quello di Fabrizio Saccomanni (tra coloro che lo hanno preceduto, in anni recenti, nello studio che fu di Quintino Sella).



In questo contesto, i suoi primi compiti saranno approntare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) entro il 27 settembre e il disegno di bilancio entro il 20 ottobre. Il Nadef è il quadro macro-economico entro cui situare le scelte da presentare nel disegno di legge di bilancio.

Non credo che Gualtieri seguirà la strada del suo immediato predecessore, il quale, per tentare di far quadrare i conti della legge di bilancio, presentò un Nadef basato su previsioni macro-economiche molto più ottimistiche di quelle di tutti i principali centri di ricerca economica (sia nazionali sia internazionali), salvo poi, all’ultim’ora, modificarle di corsa e accettare di riscrivere il disegno di legge di bilancio, quasi sotto dettatura dei funzionari della Commissione europea.

Gualtieri è consapevole che, dopo anni di crescita e di stagnazione (più grave in certi Paesi, come l’Italia, che in altri), l’Europa sta entrando in una recessione che per il nostro Paese rischia di essere molto grave. Quindi il Nadef prima, e il disegno di legge di bilancio poi, punteranno probabilmente su misure per contrastare la recessione, rinvigorire l’economia, facilitare la produzione e la domanda. Ciò vuole dire non solo utilizzare al massimo gli spazi di flessibilità concessi dalle attuali regole europee (che, in prospettiva, potrebbero cambiare), ma soprattutto ristrutturare la spesa, contenendo quella di parte corrente e premendo su quella in conto capitale che, ove necessario, potrebbe essere finanziata anche in deficit, tenendo, però, conto di non aumentare ulteriormente il rapporto tra debito pubblico e Pil.

Il contenimento della spesa di parte corrente è operazione difficile sotto il profilo sia tecnico sia politico. Dal punto di vista tecnico, a Via XX Settembre è in corso da tempo una revisione della spesa, mirata soprattutto a identificare quegli “sconti fiscali” che più costano all’erario ma che meno benefici paiono apportare alla collettività: passare dalle parole ai fatti, però, è tutt’altro che semplice, perché ci si scontra con forti gruppi di pressione, molti dei quali alleati (non si sa se per amore o per convenienza) del M5s.

Anche in materia di investimenti, sotto il profilo tecnico, sarebbe quasi sufficiente, almeno nell’immediato, sbloccare finanziamenti in essere per progetti infrastrutturali già analizzati e valutati positivamente; anche se il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti è cambiato, non è detto che gli umori di buona parte del M5s nei confronti delle grandi opere pubbliche sia mutato.

Il garbato e cortese Gualtieri cercherà di evitare scontri e di aggirare gli ostacoli. Ma non è detto che ci riesca. Gli avversari, in breve, sono in patria, non a Bruxelles.