Come ogni anno, soprattutto dopo il discorso del presidente della Repubblica, tutti noi abbiamo subito la solita overdose di discorsi ottimistici sul nuovo anno. Ma la realtà non è fatta di buoni propositi e, come dice un vecchio proverbio, “di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno”. In effetti, c’è un punto che accomuna l’inizio d’anno con l’unione monetaria e questo è proprio la descrizione di un futuro radioso per l’economia grazie all’introduzione della moneta unica. In Italia fu in particolare l’ex presidente del consiglio Prodi a esprimersi con enfasi arrivando addirittura a ipotizzare che avremmo lavorato un giorno in meno, ma guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più. Probabilmente lo disse per addolcire l’amara pillola di nuove tasse e i sacrifici economici. Ma il vero problema non è stato l’opportunità politica di certe dichiarazioni: il fatto è che le cose sono andate in senso diametralmente opposto, con una crisi provocata dalla stessa banca centrale che doveva proteggerci (provocata stampando moneta in eccesso) e con tassi di disoccupazione che rendono permanente la crisi al di là di ogni altro indicatore.
Un’ulteriore conferma di questa situazione paradossale è la situazione bancaria: nonostante le ottime performance del settore bancario sui mercati finanziari, le banche continuano a soffrire per mancanza dei profitti e nel 2019 hanno portato il numero di licenziamenti a un massimo negli ultimi 4 anni: ben 78 mila licenziamenti nel 2019.
Che il problema sia l’euro lo ha affermato a chiare lettere il governatore della banca centrale ungherese Gyorgy Matolcsy in un’intervista al Financial Times: “La valuta comune europea non era affatto normale, perché quasi nessuna delle condizioni preliminari era stata soddisfatta. Due decenni dopo il lancio dell’euro, la maggior parte dei pilastri necessari per una moneta globale di successo – uno Stato comune, un budget che copra almeno il 15-20% del Prodotto interno lordo totale della zona euro, un ministro delle Finanze della zona euro – mancano ancora”.
Secondo il governatore ungherese, ora occorre trovare una regola per permettere agli stati di uscire dall’euro: “Dobbiamo ammettere che l’euro è stato un errore. È giunto il momento di cercare una via d’uscita… È giunto il momento di svegliarsi da questo sogno dannoso e infruttuoso. Un buon punto di partenza sarebbe riconoscere che la moneta unica è una trappola praticamente per tutti i suoi membri – per ragioni diverse – non una miniera d’oro. Gli Stati dell’Ue, sia all’interno che all’esterno della zona euro, dovrebbero ammettere che l’euro è stato un errore strategico… I membri della zona euro dovrebbero essere autorizzati a lasciare la zona di valuta nei prossimi decenni e quelli rimanenti dovrebbero costruire una valuta globale più sostenibile. Celebriamo il trentesimo anniversario nel 2022 del trattato di Maastricht che ha generato l’euro riscrivendo il patto”.
Il vero problema è che chi oggi gestisce il potere in Europa mantiene la barra dritta in direzione opposta. Ancora oggi, nonostante tutti gli errori e la crisi in atto, il dogma dominante rimane quello per cui “ci vuole più Europa”.
In questo quadro, le previsioni degli esperti non possono essere ottimistiche, perché, come tutti sanno, i problemi dell’economia reale non si risolvono stampando moneta in eccesso. Ed ecco il risultato: “Pil Germania, la Bundesbank dimezza stime di crescita 2020 a +0,6%” titola il Corriere della Sera a metà dicembre. Il problema è che l’economia tedesca, a causa del suo modello ordoliberista (cioè liberismo basato su un ordine, quello stabilito dallo Stato), dipende in maniera sostanziale dall’export e dopo aver prosciugato le economie degli Stati dove pretende di importare, ne ha prosciugato anche la forza lavoro grazie alla migrazione. Ma pure a questo c’è un limite e quindi anche in Germania inizia a mancare la forza lavoro qualificata. Insomma, la Germania non cresce perché non può crescere laddove il mercato è saturo e la tendenza demografica è in declino. Ha preteso di impostare l’Unione europea su un modello sbagliato e ora rischia di essere la causa principale del declino europeo.