La sentenza della Corte di Cassazione del 12 maggio sui derivati ha stabilito dei principi giuridici che determineranno gli esiti di diverse vicende in cui gli enti pubblici, come Comuni, Regioni e Province, sono da ritenersi parte lesa nei confronti delle banche che li indussero a sottoscrivere contratti – presentati come utili a mitigare i rischi finanziari – con clausole e condizioni che hanno complessivamente generato un debito aggiuntivo di oltre un miliardo di euro. Dal 2014 tali contratti sono vietati, ma i debiti restano fino a pronunce sui casi specifici e ci attendiamo ora una ripresa del contenzioso.



Ovviamente, per penna di noti giuristi, cominciano a essere evidenziate le possibili obiezioni che le banche – forse loro le vere vittime?! – potranno opporre, e il tema meriterà ulteriori approfondimenti. La sentenza, comunque, non ha ovviamente effetto diretto sul maggiore ente pubblico: lo Stato italiano. Il ministero del Tesoro ha negli anni ritenuto di sottoscrivere contratti cosiddetti “swap” con le maggiori banche internazionali, riuscendo a cumulare perdite mostruose: 37 miliardi dal 2010 a oggi e altri 36 per i prossimi anni. Si tratta di scommesse finanziarie sull’andamento dei tassi d’interesse di cui non una è risultata vincente. Persino alle slot machine truccate ogni tanto si vince: le slot dei colossi finanziari mondiali neanche il piacere di qualche milionata di euro hanno concesso ai ludopatici della gestione del debito.



Intendiamoci, le sentenze dei tribunali, penale di Trani e contabile della magistratura dei Conti, hanno stabilito che non vi sono responsabilità dei gestori del debito pubblico – in particolare di Cannata, La Via, Siniscalco e Grilli -, ma alla luce di quanto affermato dalla Cassazione e dei dispositivi assolutori, possiamo trarne un quadro desolante.

La recente sentenza afferma, fra l’altro, la liceità dei contratti derivati “solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale”: nel caso esaminato, l’ente , il comune di Cattolica, non era in grado di valutare la portata delle clausole e condizioni, anche perché privo delle necessarie competenze tecnico-finanziarie.



Ma allora, al ministero del Tesoro, dove dovremmo avere solo competenti al massimo livello, tale obiezione non si applicava? Ma ecco che la sentenza assolutoria dei funzionari pubblici e di Morgan Stanley ci spiega che non c’è stato dolo o malizia, ma ignoranza, scarsa capacità di valutazione e di mezzi contrattuali.

La sintesi è stata fornita da Visco alla Commissione sulle Banche il 30/01/2018 : “Potevamo noi nel 2013 essere un pochino più svegli? Forse”. Speriamo che per il futuro il Tesoro si doti di macchinette per il caffè per le sale di negoziazione e per gli uffici legali. Se la recente sentenza non riaprirà tecnicamente il ruolo delle responsabilità, sarebbe bene che si facesse chiarezza su quanto è accaduto, almeno per evitare che, sotto altra forma, possa accadere ancora che le decisioni della direzione del debito pubblico siano subordinate a quelle delle grandi banche che,usualmente loro, sono ben sveglie.

Purtroppo a valle della crisi Covid l’Italia avrà il più grosso debito pubblico – a parte Usa e Giappone – pari a 2.500 miliardi, sul quale si potrà scommettere e speculare: avere come controparte un soggetto debole e addormentato è la migliore opportunità per qualsiasi trader, anche junior. Ovviamente le principali trattative – negoziazioni – avvengono sui mercati regolamentati, ma su quali e quanti mercati si trattano i titoli di Stato italiano? Il Tesoro ne riconosce uno solo, lo Mts di Borsa Italiana e delle 26 principali banche internazionali. E per fugare ogni dubbio su possibili conflitti d’interesse, a presiedere Mts è stata chiamata la stessa Maria Cannata che, per conto dei cittadini italiani, ha offerto sul mercato, “sonnecchiando ” a detta di Visco, migliaia di miliardi di euro di opportunità.

P.S.: Ancora oggi non sono accessibili i contratti stipulati, i resoconti delle negoziazioni e altra documentazione che farebbero chiarezza su quanto avvenuto. Soprattutto, però, non esiste evidenza pubblica di come funzionano le aste dei titoli, dei soggetti fisici che partecipano e determinano i prezzi ovvero degli algoritmi utilizzati.