C’è chi non si accontenta mai: Howard Morgan, il miliardario che siede ai vertici di Renaissance Tech, hedge fund che quest’anno vanta performance a doppia cifra, è un buon esempio: “Quest’anno avrei potuto guadagnare assai di più con le criptovalute che con il digitale”. Però, in un momento di pudore aggiunge: “Ma ho dormito sonni assai più tranquilli”. Morgan è tra i fortunati che hanno sfruttato appieno la riscossa del Bitcoin che, da una valutazione attorno ai 5 mila dollari a marzo agli inizi della pandemia (4.944 dollari il giorno 6), si avvia a moltiplicare per quattro il prezzo fino a sfiorare, per ora, 19 mila dollari, su dell’80% abbondante da metà ottobre. Un’ascesa spettacolare che tra le varie motivazioni deve molto alla decisione di PayPal di accettare il Bitcoin per pagare gli acquisti su 26 milioni di prodotti da parte dei 345 milioni di utenti del sistema. Ma il fenomeno, in realtà, va assai al di là della fortuna commerciale della criptovaluta, che in passato ci ha abituato a oscillazioni da brivido.
Il Bitcoin, infatti, non è più solo un’arma della speculazione dark, lo strumento adottato dalla malavita internazionale e veicolo di non poche truffe specie in Oriente. Certo, la volatilità è ancora da brivido, ma il Bitcoin sta conquistando il ruolo di bene-rifugio addirittura spodestando l’oro che ieri è scivolato sotto 1.859 dollari, a ridosso dei minimi da quattro mesi perdendo il 10% dal picco record del 2020. Intanto la valuta “fuorilegge” ha conquistato spazio all’interno dei listini azionari più nobili: le criptovalute figurano sulle piattaforme dell’Ice, il mercato di Chicago che controlla il New York Stock Exchange, mentre i derivati vengono scambiati al Nasdaq, a vantaggio della credibilità del sistema che conta ormai, specie tra i ricchi, una clientela fedele che ne apprezza le virtù. Non a caso la massima densità di istituzioni legate al Bitcoin si registra nel cantone di Zugo, il più generoso sul piano fiscale della Confederazione Elvetica a anche il più sensibile a una valuta virtuale in grado di sganciarsi dalle dinamiche delle valute tradizionali.
Ma l’ulteriore, decisivo salto di qualità avverrà con la promozione da parte delle banche centrali, pronte a cavalcare il fenomeno e a condividerne i vantaggi, senza però cedere il controllo del sistema. Il 12 ottobre scorso è partita, sotto la guida di Fabio Panetta membro del board della banca centrale, la consultazione presso gli operatori per verificare la fattibilità dell’operazione. Dopodiché, l’Eurotower si prenderà almeno un anno per organizzare l’operazione dell’euro digitale. Ma perché le banche centrali, una settantina fino a questo momento, stanno accelerando sui loro programmi di creazione di valuta digitale?
Ci sono certamente considerazioni di sicurezza e di efficienza nel sistema dei pagamenti, ma il grande obiettivo delle Central Bank Digital Currency (Cbdc) è di politica monetaria e di politica tout court. Le valute digitali ufficiali saranno, potenzialmente, l’arma nucleare definitiva contro la deflazione per due motivi. Il primo è che, rendendo possibile l’abolizione del contante, renderanno possibile anche l’introduzione di tassi profondamente negativi in caso di nuova pesante recessione. Se i tassi sui bond e sul conto corrente fossero ad esempio del 3% negativo, molti si metterebbero in fila davanti alle banche per ritirare i loro soldi sotto forma di banconote. Abolite le banconote, non potrebbero più farlo e i tassi negativi, almeno in teoria, potrebbero dispiegare tutti i loro effetti espansivi orientando anche le scelte politiche. In materia di ambiente, per esempio. E così la rivoluzione anti-autoritaria che ha ispirato i primi guru del Bitcoin potrebbe, come un boomerang, chiudersi in una svolta centralizzatrice, all’insegna dell’intelligenza artificiale.
Ma, per ora, l’obiettivo, pur ambizioso, è più modesto: si tratta di sconfiggere la deflazione immettendo moneta a effetto immediato nelle tasche dei consumatori, superando la mediazione delle banche. La tecnologia permette di superare i vincoli tradizionali: basterà una App, una tessera tipo quella sanitaria o un token che genera un codice irripetibile come le chiavette per caricare gli euro digitali, come si fa con il Bancomat o una carta prepagata, con un importo massimo predefinito dotato della stessa validità dei contanti e spendibile presso qualunque esercizio abilitato. Non occorrerà un conto in banca o una carta di credito, ma basterà aprire un conto di nuova generazione, gratuito e digitale, presso la banca centrale che acquisirà così un controllo diretto della disponibilità del sistema, con ricadute rilevanti per la politica monetaria che, nel dopo pandemia, dovrà fare i conti con un debito che ormai sfiora il 400% nei Paesi avanzati che, una volta battuta la pandemia, imporrà pesanti correzioni di rotta, a partire dalla svalutazione del dollaro (-20% almeno secondo Citi).