La rivoluzione americana difficilmente sbarcherà in Europa. È quel che si affannano a ripetere i gestori, nell’evidente tentativo di tranquillizzare i mercati. L’esplosione degli acquisti da parte dei Robinhooders, i traders che, talvolta solo con un pugno di dollari, danno il via a piogge di acquisti speculativi, è un fenomeno che riguarda per ora solo le piazza americane. In Europa il fenomeno è assai più contenuto. Nessun sito del Vecchio Continente può vantare un giro d’affari paragonabile a quelli Usa o, tantomeno, esiste un social network come Reddit, capace di far da cassa di risonanza all’attività di cinque milioni di traders. E ancora: i mercati dell’Eurozona non hanno dimensioni comparabili a quelli americani, divisi come sono in tanti listini separati. Almeno per queste ragioni, in Europa non è finora comparso un possibile epigono di Robinhood, capace di innescare la corsa al rialzo senza freni su un titolo com’è successo con Game Stop, salito del 1.700% nel giro di pochi giorni. Ma non è affatto escluso che il fenomeno possa varcare l’Oceano.



All’origine del boom degli scambi online ci sono infatti diversi ingredienti comuni. Il basso livello dei tassi, innanzitutto, che ha reso possibile l’offerta in Usa di servizi di compravendita gratuiti. La tecnologia e, non meno importante, il tempo libero a disposizione di cassintegrati e reclusi dalla quarantena. Ovvero, l’esercito ideale di gente a caccia di un passatempo che può permettere la speranza di un guadagno. È vero che gli americani hanno una maggiore esperienza nella frequentazione dei mercati. Ma è altrettanto vero che pure dalle nostre parti abbondano bancari e quadri della finanza aziendale messi prematuramente a riposo. È questo il popolo che, a suon di opzioni, ha messo in ginocchio fior di hedge fund oltre Oceano diffondendo la paura presso i grandi operatori, preoccupati dall’insorgere di un fenomeno incontrollato che però ha più a che fare con la sociologia che non la dinamica del mercato che è attraversato anche da altre correnti speculative di rilievo, come dimostra la corsa alle Ipo. 



All’origine della fase attuale dei mercati, comprese le puntate speculative di piccoli e di grandi (a prestare i soldi al sito Robinhood per assistere gli acquisti dei trader c’è un miliardo di dollari messo a disposizione da JP Morgan e Morgan Stanley), c’è la politica monetaria e di bilancio estremamente aggressiva adottata dalla Federal Reserve e, di riflesso, dalla stessa Bce. Sono le banche centrali a favorire le bolle, insomma. Conseguenza inevitabile se non esistono opportunità di investimento adeguate a sostenere la massa di capitali in offerta. La scommessa è che, nel tempo, la domanda di asset “virtuosi” cresca al punto da assorbire l’intera offerta. Ma ci vorrà tempo perché la battaglia dell’ambiente o per la salute riesca a mobilitare le energie. 



Anche se il mondo corre più in fretta di quel che non si voglia credere. Pensiamo al mercato dell’auto. I grandi, ultima Gm, stanno annunciando che l’ultimo motore a combustione verrà prodotto nel 2035. Intanto Volkswagen, Renault e Stellantis vendono in Europa più elettriche di Tesla. Il cambiamento è già in atto, alla faccia degli scettici. L’importante, insomma, è non restare indietro. Anche a costo di favorire la speculazione dei “piccoli” che sanno essere non meno aggressivi degli squali.