In questo momento economicamente e politicamente davvero caotico, due fatti “modesti” possono aiutare a fare chiarezza su quanto sta accadendo. Il primo è il seguente: il 7 aprile il Mef (ministero dell’Economia e delle Finanze) ha collocato Bot con scadenza a 3 e 12 mesi per complessivi 6,5 miliardi di euro, senza problemi a fronte di una richiesta di oltre 10 miliardi. Ma il secondo fatto è davvero esplosivo: il 21 aprile il Mef ha collocato Btp per complessivi 16 miliardi, anche questi senza problemi, poiché la richiesta è stata pazzesca, ben di 110 miliardi. Sì, avete letto bene, 110 miliardi di Btp richiesti.
La cosa in fondo è comprensibile: l’economia è in una crisi strutturale e duratura, la finanza è ridotta anche peggio e quindi i capitali immensi finora là collocati cercano porti sicuri nel mare in tempesta. E tra quelli considerati tra i più sicuri e con migliore rendimento al mondo vi sono quelli italiani.
Il primo fatto fa emergere una domanda: perché per sette lunghi anni il Mef non ha emesso Bot, prodotto finanziario tipico dei piccoli risparmiatori, in modo da attrarre almeno una parte dei 1.400 miliardi depositati sui conti correnti e che in questo momento stanno raccogliendo interessi vicino allo zero? Avrebbe pure l’enorme vantaggio di non far dipendere i bilanci dello Stato dalla speculazione internazionale.
Invece il secondo fatto fa sorgere un’altra domanda: ma abbiamo bisogno di aiuti dall’estero o degli aiuti dalla Ue per fronteggiare la crisi economica in corso e gli interventi straordinari da mettere in campo per l’emergenza sanitaria? A questo punto, tale domanda è divenuta una domanda retorica. Già prima si sapeva che i titoli italiani godono di ottima reputazione sul mercato finanziario e che il mercato dei Btp è uno dei più liquidi al mondo. Ma ora, dopo questo risultato, in un tempo nel quale i capitali faticano a trovare un porto sicuro, tale domanda ha una risposta ovvia: non abbiamo bisogno di aiuti per trovare liquidità in abbondanza sul mercato internazionale; le uniche problematiche riscontrate negli ultimi cinquant’anni sono dovute a specifici interventi della Bce: nel 2011, quando inviò una missiva privata al Governo italiano (che poi finì sulle prime pagine di tutti i giornali e fece schizzare lo spread alle stelle) e la dichiarazione di Draghi nel luglio 2012, il celebre “whatever it takes”, che riportò lo spread a valori non preoccupanti.
Allora che cos’ha ottenuto Conte dall’Ue? Qui il discorso si fa complesso, anche se credo non abbia ottenuto nulla di utile o utilizzabile: il Recovery Fund promesso si potrebbe attivare in circa sei mesi e la dotazione promessa viene in realtà dal fondo comunitario, cioè da denaro dato dagli Stati stessi. Inoltre, Conte non ha parlato del Mes, il quale, secondo il comunicato stampa finale, è incluso nel pacchetto di aiuti utilizzabili. Questo aspetto riguarda la polemica politica, ma da un punto di vista economico io rilevo che, mentre altri Stati impegnano grandi dosi di liquidità senza debito per lo Stato (per esempio Usa, Gran Bretagna, Giappone), noi andiamo a impelagarci con un debito a condizioni non ancora chiarite, invece di chiederlo al mercato a condizione certe e stabilite da noi.
Infatti, il denaro che potremmo prendere dal Mes potrebbe essere senza particolari condizioni aggiuntive, ma una volta usciti dall’emergenza sanitaria le condizioni ci sarebbero, verrebbero attivate per farci rientrare del debito a suon di tasse: ci imporrebbero il rientro del debito con l’imposizione di imposte draconiane o di patrimoniali o di prelievi forzosi sui conti correnti.
Comunque un Premier che, mentendo, non parla del Mes o ne parla dicendo che non è per noi ma potrebbe servire alla Spagna, procura danni di immagine e di rapporti internazionali: in Germania un quotidiano tra i più famosi lo ha sbugiardato ed è arrivato ad affermare che Conte sta mentendo agli italiani; in Spagna ha provocato vibrate proteste nel loro Parlamento, poiché la Spagna non ha alcuna intenzione di accedere al Mes.
Nel frattempo, la protesta popolare in Italia sta montando: gruppi di partite Iva, le più colpite da questa crisi, si stanno confortando nell’intenzione di non riaprire affatto, anche perché aprire con le condizioni surreali imposte nella maggior parte dei casi sarebbe antieconomico. Si prepara una catastrofe economica e finanziaria. Il governo nel Def in corso di scrittura sta prevedendo una contrazione del Pil dell’8%, ma altri studi ne contano una del 15% e questo solo per il primo semestre. Probabilmente a fine anno si arriverà almeno al 25%. Al Governo prevedono un debito al 155% del Pil, ma più probabilmente questo arriverà vicino al 180%. A quel punto arriverà il Mes, cioè nuovo debito, che aggraverà la situazione.