L’economia reale sta collassando. Tutto il settore manifatturiero in Europa riporta numeri negativi. Quando si ricevono questi dati occorre ricordare un fatto molto semplice: riguardano un fatto nel passato, per quanto possa essere molto recente tanto da essere considerato quasi attuale. Ma rimane un dato nel passato, per cui quello che sta accadendo in questo preciso istante può essere molto differente, cioè molto peggio.
Certo, potrebbe essere, teoricamente, anche molto meglio. Ma quello che qui tento di descrivere non è un fatto ignoto, un fatto casuale, un dato imponderabile. No, si tratta di un’ipotesi che io (ma non solo io) ho fatto circa quindici anni fa, riguardo il fallimento di un sistema economico e finanziario (definito anche come turbocapitalismo finanziario) sostanzialmente speculativo, destinato prima o poi a travolgere tutto, anche se stesso.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti. La crisi è arrivata davvero e quando tutti dicevano che sarebbe passata nel giro di sei mesi (per i primi due o tre anni hanno raccontato questa favola) io mi sforzavo di ripetere che era una crisi strutturale e quindi sarebbe passata in un paio di decenni, almeno. Già allora affermavo che il riferimento storico doveva essere la Grande Depressione del 1929, con la differenza che quella riguardava principalmente gli Usa (e avrebbe colpito il mondo intero), questa invece riguardava il mondo intero.
I dettagli successivi, cioè i fallimenti delle imprese, delle banche, la crisi degli Stati e del loro debito, la mancanza di liquidità barattata con la perdita di sovranità sono semplicemente i dettagli di sviluppo della medesima crisi dalla quale non siamo mai usciti. E non siamo mai usciti da questa crisi perché nessuno ha mai fatto nulla per uscirne. E nessuno ha mai fatto nulla perché avrebbero dovuto rinnegare quanto fatto, inutilmente e dannosamente, finora. E ci vuol poco ad arrivare alla conclusione finale: hanno fatto tutto questo e hanno continuato a farlo senza alcuna correzione sostanziale semplicemente perché la crisi è stata voluta e preparata.
Lo disse esplicitamente lo speculatore Warren Buffett in un’intervista del 2006 (prima dello scoppio della crisi): siamo in guerra, una guerra di classe ed è la nostra classe, la classe dei ricchi, ad aver iniziato questa guerra, che stiamo vincendo. La Bce è stata creata precisamente per questo scopo: rendere stabile il valore del denaro. In concreto, tenere l’inflazione a un valore prossimo e inferiore al 2%. Per questo obiettivo la Bce si è dotata di una corda molto robusta, per tirare in basso l’inflazione. Ma ora che l’inflazione è stabilmente molto al di sotto del 2%, una corda è totalmente inefficace per spingere, perché con una corda si può solo tirare. Detto in termini economici, la Bce può operare sul lato dell’offerta di moneta, non sulla domanda. E se c’è la crisi e l’economia non domanda moneta, il problema non si risolve offrendo più moneta a migliori condizioni. Come si dice tra gli economisti, il cavallo non beve più.
Ora gli ultimi dati certificano che l’inflazione è al 1,2% in Germania (ridotta rispetto a prima dal 1,4%) e dello 0,4% in Italia, stabile a questo valore da tre mesi. Praticamente da elettroencefalogramma piatto. Nonostante tutti i Qe e le iniezioni di liquidità in tutte le forme della Bce, la ripresa non c’è e l’inflazione non vede il 2% nemmeno da lontano. La Bce ha completamente fallito il suo obiettivo.
Ma l’inflazione a zero non dovrebbe essere una cosa meravigliosa, secondo quella vulgata propagandata negli ultimi decenni per cui l’inflazione è tanto tanto cattiva? E che dire dei tassi di interesse a zero, quando non negativi? Non dovrebbe essere l’evidenza di una finanza fantastica che offre il meglio immaginabile per favorire la crescita economica?
Evidentemente no, visti i dati di crescita economica e disoccupazione. Evidentemente non ci hanno raccontato l’altra faccia della medaglia: se si difende il valore della moneta, allora si svaluta il valore di ciò che la moneta compra, primo tra tutti il lavoro. E se la moneta non offre più remunerazione a chi la tratta e la può prestare (a causa dei tassi pari a zero), allora a soffrire saranno pure le banche.
Questo è il delirio da cui la Bce non vuole che nessuno esca. Un delirio che prevede una sola via di sopravvivenza, cioè la crescita tramite le esportazioni. Ma ovviamente è una via che può percorrere solo chi ha possibilità di basare la propria economia sulle esportazioni. E può funzionare solo finché le esportazioni possono crescere. Un tale tipo di sistema ha solo un difetto piccolo piccolo: le esportazioni dipendono da altre economie, che sono fuori dal controllo di chi esporta.
Ora la Germania se ne sta accorgendo, grazie ai dazi reciproci di Usa e Cina. Ma oltre alla Germania, di riflesso se ne sta accorgendo anche l’economia italiana. E il Governo italiano è già entrato in fibrillazione, rendendosi conto che sta basando la propria finanziaria su una possibilità di crescita del Pil che è scritto sull’acqua e che rischia di essere travolto da una prossima ondata di dazi.
Ovviamente la Bce in tutto questo nulla c’entra e nulla può. Ci ha solo reso più inermi e ora i nodi vengono al pettine. Rischiamo il crollo delle esportazioni a causa dei dazi e non abbiamo una moneta nostra da svalutare. Non abbiamo quella sovranità monetaria che ogni Paese sovrano userebbe per difendere i propri interessi.