Si chiude un anno d’oro per i mercati finanziari che hanno ampiamente battuto le previsioni: Piazza Affari viaggia sul 30% tondo di guadagno, come non accadeva dal ’98, quando il rialzo fu addirittura del 45% circa. Wall Street non è da meno: l’indice Standard & Poor’s guadagna il 29%. Solo in due occasioni, negli ultimi 25 anni ha saputo far meglio. Ancora una volta le previsioni, che dodici mesi fa davano per molto probabile una recessione, sono stanno smentite. Non capita di rado. Nel 2010, ad esempio, non c’era esperto che non desse per scontato il sorpasso dei listini asiatici rispetto al vecchio Occidente. Ma in sede di bilancio prendiamo atto che le cose sono andate in maniera ben diversa: l’indice dei mercati emergenti ha registrato un guadagno del 15% contro il 104% dell’indice globale Msci.
Una curiosità: in fondo alla classifica figura ancora la Grecia, zavorrata dalla drammatica crisi del 2012. Ma Atene ha fatto un ricco regalo di Natale agli investitori che hanno creduto agli hellenic bond: +23% da inizio anno. Un risultato anche più sorprendente perché accompagnato dal sorpasso sui Btp: i bond greci a dieci anni decennali rendono oggi l’1,16%, meno dei nostri titoli. Una bizzarria solo apparente: lo spread, di questi tempi, non misura tanto la solidità di un’economia accumulata nel tempo, quanto la sua capacità di crescere in futuro. E sotto questo profilo l’economia del Bel Paese non promette nulla particolarmente buono, anche se la politica monetaria ereditata da Christine Lagarde dovrebbe garantire una navigazione tranquilla o quasi.
Queste note sparse servono a spiegare che le previsioni di inizio anno in genere non ci prendono. Ma rappresentano comunque una bussola di riferimento, perché si abbia l’accortezza di non considerarli materia di fede. Fatta questa premessa, secondo i guru l’anno si dividerà in due. La prima parte, in scia all’andamento brillante di fine anno, non dovrebbe regalare brutte sorprese, salvo momentanee correzioni di rotta (anche violente). Da qui a metà dell’anno prossimo sembra tutto abbastanza tranquillizzante. Trump è riuscito a fare coincidere, di certo non casualmente, la conclusione del mini-accordo con la Cina e un nuovo massimo di borsa con l’impeachment, che per i mercati è e continuerà a essere un non evento. Più la borsa sale e l’economia tiene, più Trump si rafforza. Di qui la prospettiva di un rialzo sostenuto dai buybacks azionari. Poi, in vista delle elezioni, si vedrà.
La pace sul fronte dei commerci farà bene anche a Pechino, impegnata a tessere relazioni più stabili con i vicini, Giappone e Corea del Sud in testa. Nei prossimi mesi, però, la Cina dovrà vedersela con alcuni nodi strutturali tra cui l’annosa questione dello shadow banking. Li Keqiang ha promesso che nel 2020 finirà l’ipoteca della finanza ombra, che forse ha condizionato di più il mercato di altri nodi più noti, vedi Hong Kong. Il sistema, però, sembra abbastanza solido per sostenere la crescita, seppur a tassi più frenati.
E l’Europa? È molto difficile che la Germania promuova una politica più espansiva come richiesto dalla maggior parte dei partner. In cambio, la politica salariale espansiva può favorire un forte rilancio dei consumi a partire da un aumento delle importazioni, su cui inciderà il maggior costo del lavoro. L’Italia, sulla carta, non ha ragione per brillare. O forse sì anche perché l’indice Ftse Mib scambia a 11,3 volte gli utili attesi al 2021 e viaggia ancora a sconto per il 18% rispetto agli altri indici. Secondo un report di Banca Intesa, la Borsa italiana ha ancora un margine di crescita (il 10% in un orizzonte a medio termine). Secondo gli analisti, l’anno si aprirà con un cielo grigio, a causa di diversi fattori tra cui l’incertezza sul fronte domestico. Ma non è escluso un balzo in avanti legato all’effetto Pir perché con il 2020, infatti, le sgr potranno dare il via alla raccolta di nuovi fondi che beneficiano di esenzioni fiscali.