La “volatilità” sui mercati è la costante delle ultime settimane e per il momento non si vede la fine. Nei prossimi mesi e trimestri si possono individuare tre temi che terranno occupati gli investitori e che continueranno a causare movimenti bruschi. La prima questione, che è anche la più immediata, è la guerra commerciale che gli Stati Uniti stanno conducendo contro la Cina e in seconda battuta “contro” gli alleati dell’Unione europea e del Giappone. Gli obiettivi dell’America di Trump sono abbastanza chiari e comprensibili e si sostanziano nel tentativo di riequilibrare squilibri commerciali ormai insostenibili sia economicamente, sia, almeno verso la Cina, politicamente data la competizione tra le due potenze. Quello che i mercati non capiscono ancora è quanto cruenta e quanto lunga sarà questa guerra e quanto sono distanti le posizioni; si potrà avere una prima indicazione al prossimo G7, ma è assolutamente possibile che il tema continui per buona parte del 2020.
La seconda questione è quando la Fed e poi le banche centrali romperanno la finzione sulle politiche monetarie cominciando un nuovo “round” di Quantitative easing. Al momento è possibile collocare questa inversione pubblica a settembre, ma i mercati hanno dimostrato già a dicembre dello scorso anno un nervosismo e una fragilità sorprendenti. Dal punto di vista dei mercati oggi le banche centrali sono già palesemente in ritardo e i rischi si accumulano. La domanda è quanti rischi le banche centrali e soprattutto la Fed sono disposti a correre aspettando a narrare l’inversione della politica monetaria. Mercati in subbuglio darebbero la scusa perfetta per posticipare almeno di un anno i problemi. Il posticipo sarebbe funzionale alla guerra commerciale e alla prossima campagna elettorale americana.
La terza questione, quella meno immediata, è legata al combinato di rallentamento globale e squilibri “finanziari” mai risolti dopo la crisi del 2008. L’esplosione dei debiti statali con cui si è affrontato il dopo Lehman e le scorie ampiamente presenti nelle istituzioni finanziarie e tra i consumatori sono temi ancora irrisolti. Quanto fatto dal 2009 in avanti non può essere ripetuto all’infinito. Questa è una sfida che interroga l’Unione europea profondamente. Il suo modello economico non è più sostenibile e le sue istituzioni sono le meno preparate e adatte per spingere la crescita in modo uniforme.
America e Cina hanno problemi enormi, ma hanno una stabilità “politica” che l’Europa non ha. In questo scenario il problema “italiano” è sostanzialmente un problema di collocazione all’interno dell’Unione. L’attuale accordo tra Italia e centro carolingio non consentirà mai una ripresa vera neanche a un Governo di ottimati. Fingere che si possa risolvere il problema italiano senza affrontare questo aspetto è un’enorme mistificazione.