In questo momento cruciale della ripresa della politica, dopo una campagna elettorale dai toni sicuramente accesi, si sentiva proprio la mancanza di un commento dell’ex ministro Padoan. Dal suo nobile pulpito, al Festival dell’Economia di Trento, ha pontificato: “Per gli investitori internazionali non è più una questione di se l’Italia ristrutturerà il debito, ma di come e quando questo accadrà”. Con la sua criminale politica economica di accondiscendenza ai diktat europei, lui è tra i principali corresponsabili del continuo aumento del debito durante i governi Renzi (succeduto a Letta senza passare per elezioni) e Gentiloni (idem con patate). Un aumento del debito che però non ha portato alcuna crescita economica: hanno speso, ma non per l’economia.



Come ho già scritto numerose volte in questi anni, nel sistema euro la crescita del debito è inevitabile, dato che tutto è debito, a cominciare da ogni euro che abbiamo in tasca. Se quello che abbiamo in tasca non è debito nostro, lo è comunque per una qualche banca centrale, poiché le banconote sono iscritte tra i passivi.



Ovviamente vi possono essere singoli casi temporanei di diminuzione del debito, come la Germania degli ultimi anni. Tale diminuzione però, oltre a essere temporanea, non inficia il quadro generale della zona Euro, che vede il debito comunque in aumento. E questa diminuzione del debito è solo temporanea, perché dipende di fatto dalle fortissime esportazioni tedesche, quindi dall’andamento dell’economia internazionale. E siccome questa inizia a soffrire, pure i tedeschi iniziano a trovarsi in difficoltà, come mostrano i recenti cali della produzione industriale, addirittura negativi mentre per l’Italia è un dato positivo, e la previsione al ribasso per il Pil, crollata dall’1,6% precedente all’attuale 0,6%.



Questo non vuol dire che il debito non vale nulla e che possiamo indebitarci a volontà. Ma vuol dire che l’ansia sul debito crescente è ingigantita per condizionare dall’esterno la nostra politica e per sottrarci la sovranità. Queste non sono soltanto le bizzarre idee di chi qui scrive, ma sono riflessioni espresse pubblicamente anche da Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario internazionale durante il medesimo Festival dell’Economia di Trento, il 30 maggio scorso. La situazione italiana? “Non è preoccupante”. Il debito pubblico? “Un problema sopravvalutato”. E il deficit? “Il problema non è tanto il deficit, quando il modo in cui vengono spesi i soldi… Se i soldi aumentano gli investimenti e rendono produttivo il capitale, allora il tema del debito perde ogni significato”. E l’austerity? “L’austerity fiscale si traduce in un immediato calo degli investimenti pubblici. E questa è una catastrofe”.

Capito cari lettori? Penso proprio di sì; chi non ha capito, nonostante l’esperienza da ministro per due governi, è Padoan. E un altro che gli fa buona compagnia è il mitico Cottarelli, quello delle tante comparsate nella televisione di Stato finanziata dai contribuenti, Direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano. I titoli giusti li ha tutti, ma le proposte sul debito?

Le ha descritte in un articolo di un anno fa: portare l’avanzo primario al 3,5-4%. Per chi non lo ricordasse, l’avanzo primario è la differenza tra entrate e uscite, senza contare la spesa per gli interessi. Dopo aver analizzato tutte le possibili opzioni (compresa l’uscita dall’euro, giudicata negativa ma senza aver minimamente valutato gli effetti benefici derivanti dalla svalutazione), Cottarelli affermava che possiamo arrivare tranquillamente a questo obiettivo tenendo conto dell’attuale (di allora, luglio 2018) crescita di Pil ed entrate fiscali, mantenendo costante la spesa. Dimentica però un fattore decisivo: con quel livello troppo basso di spesa il Pil non poteva che peggiorare, come effettivamente è stato. Ora che abbiamo la crescita zero, la proposta di Cottarelli possiamo serenamente cestinarla.

Quando il Ministro Tria si è presentato con una manovra finanziaria che prevede un deficit solo del 2,4%, non ho lesinato critiche, poiché la ripresa dell’economia richiedeva e richiede ancora uno shock positivo, un ingente flusso di investimenti. E quando con la trattativa con l’Ue il deficit è sceso sulla carta al 2%, ho confermato le mie critiche. Con le recenti elezioni, i cittadini hanno sostanzialmente bocciato queste linee di pensiero. Reddito di cittadinanza (ma dovrebbe essere chiamato di sussistenza), flat tax e mini-Bot sono sicuramente passi nella direzione giusta. Ma appaiono, allo stato attuale, ancora passettini, mentre la crisi fa passi da gigante.