Recessione: in Italia la parola non è più un tabù né soltanto propaganda politica dell’opposizione. Ormai è chiaro a tutti, anche al Governo, che il miserrimo 0,3% previsto a inizio anno rischia di essere una chimera, tanto che Giuseppe Conte fa filtrare la non tranquillizzante notizia che è pronto a prendere misure pesanti, e si sentono nel sottofondo le prime grida di dolore. Il grande allarme arriva dalla Cina, naturalmente, il coronavirus ha fatto irruzione in Lombardia e Veneto, nel cuore pulsante dell’Italia produttiva, quello che ha tenuto a galla il Paese intero. Sempre dal Celeste impero giunge anche la notizia che la produzione automobilistica si è ridotta a zero e le ingenti iniezioni di liquidità non bastano a far riaprire le fabbriche.



Le conseguenze non solo sanitarie, ma economiche, sull’Italia si fanno già sentire in particolare sul turismo, ma anche l’industria sconta effetti che saranno pesanti. Verrà colpita tutta l’Europa che esporta ben più degli Stati Uniti, un sistema economico ancora relativamente chiuso, tuttavia c’è una differenza di fondo: mentre il prodotto lordo della zona euro aumenta oltre l’1%, l’Italia è già a crescita zero. Dunque, c’è un virus italico che ha contagiato l’economia quando ancora non si sapeva nulla del COVID-19.



L’Istat ha registrato a dicembre il sesto calo consecutivo delle vendite estere da parte delle imprese manifatturiere. La cassa integrazione s’impenna. La produzione industriale è scesa dell’1,3% a fine anno, i ricavi sono a meno 0,3%. Per il momento si salvano farmaceutica, alimentare e tessile, azzoppata la meccanica che rappresenta il settore di punta anche nelle esportazioni. Non prendiamocela con la Cina. Come dicevano i latini: medico cura te stesso; e la cura non si è vista, anzi la politica economica del governo non ha fatto che alimentare la malattia.

Senza dubbio Matteo Renzi si è lanciato in un attacco al Governo giallo-rosso che ha molti aspetti demagogici e una motivazione strumentale, tuttavia non ha affatto torto quando punta il dito sulla totale mancanza di una politica di sviluppo. Il milleproroghe è un mille bonus, a quello introdotto dallo stesso Renzi (e aumentato), si è aggiunta una pioggia di provvedimenti di scarsa efficacia, di dubbia portata politico-clientelare e di certo impatto negativo sui conti pubblici: dalle facciate ai bebè, dai conventi ai seggiolini anti-abbandono ce n’è davvero per tutti. Senza dimenticare il reddito di cittadinanza e quota 100 che hanno già distorto il mercato del lavoro e faranno peggio ora che arriva la recessione. E gli investimenti pubblici? E lo sblocca cantieri? E il sostegno agli investimenti privati che aveva contribuito con Industria 4.0 a un consistente rinnovo dei macchinari?



In sostanza, il Conte bis ha concentrato il suo intervento nella divisione di una torta che si è assottigliata sino a scomparire del tutto. Lo avevano già fatto i governi Gentiloni e Conte uno, ma questa volta c’è un’aggravante: appariva già chiaro dall’autunno scorso, quando è stata messa a punto la legge di bilancio per il 2020, che la congiuntura europea (a cominciare da quella tedesca) stava rallentando e avrebbe imposto una brusca frenata all’Italia. Quindi, c’era bisogno di orientare in senso anti-ciclico la politica fiscale e quella economica in generale. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è ancora alla ricerca di due miliardi per far quadrare la riduzione del cuneo fiscale. E il capo del governo parla di interventi necessari anche se dolorosi.

Una stretta? In realtà ci vorrebbe una spinta che può arrivare, viste le condizioni della finanza pubblica con un debito che non si arresta e peggiorerà per effetto della recessione prossima ventura, solo dal lato degli investimenti. Su questo punto, non si può dar torto a Renzi; vedremo se davvero incontrerà Conte in settimana e se verrà fuori qualcosa in questo senso. Realisticamente non c’è da aspettarsi molto, tuttavia basterebbe un segnale che il Governo è pronto a imboccare questa strada per cambiare un po’ le aspettative del pubblico e degli operatori economici. E le aspettative, in particolare di questi tempi, sono fondamentali.

Se si aprisse qualcuno dei 270 cantieri bloccati (per un valore stimato di 71 miliardi, dieci volte più degli sconti fiscali) già sarebbe qualcosa, nulla di definitivo, ma una boccata d’ossigeno. I 120 miliardi in quattro anni dei quali parla Renzi sono poco realistici, non esistono nei cassetti del ministero del Tesoro, bisogna trovarne un bel po’ senza aumentare le tasse: vasto programma, davvero. Insomma, la sua cura choc ha l’aria di una bandiera elettorale. Tuttavia, cambiare strada e al più presto è fondamentale. Difficile immaginare che questo Governo sia in grado di farlo, mentre il coronavirus s’abbatte come uno spettro sul nord del Paese.