Il Mezzogiorno sarebbe dovuto essere il grande tema di un’estate che volge al termine a ragione dell’incrocio e dell’interazione tra due determinanti: a) le elezioni regionali che rendono il risultato in Campania e soprattutto in Puglia determinanti per gli equilibri politici nazionali; b) la preparazione del piano di azione (riforme e progetti) per il Recovery and Resilience Fund. Invece, l’estate è trascorsa senza grandi proposte e vedremo se in settembre, al momento della finalizzazione del piano di azione per i finanziamenti europei, ci saranno novità di rilievo.



Il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, è molto attivo e le Regioni del Mezzogiorno si faranno senza dubbio sentire. C’è il rischio che come l’Anci, le Regioni, in particolare quelle del Mezzogiorno, chiedano di gestire direttamente parte dei finanziamenti europei, non solo sotto il profilo amministrativo, ma anche contenutistico. Con una quota dei fondi affidati ai singoli Comuni e una alle singole Regioni, c’è il rischio l’aiuto europeo venga parcellizzato in rivoli particolaristici e non abbia il supporto della necessaria visione di lungo periodo, essenziale perché sia di supporto a riforme strutturali nell’istruzione e formazione, Pubblica amministrazione, giustizia e sanità, per citare i settori in cui negli ultimi anni le autorità europee hanno più volte chiesto all’Italia di effettuare profondi miglioramenti.



Inoltre, sulle Regioni, soprattutto quelle del Mezzogiorno, grava lo stigma di un’utilizzazione meno che ottimale dei Fondi strutturali europei. L’Italia è il secondo Stato membro dell’Ue per dotazione di Fondi strutturali. Ma al 31 dicembre 2019, a fronte di una media nazionale di spesa pari al 23% per fondi destinati all’Italia per il periodo 2014-2020, le Regioni considerate in ritardo di sviluppo quali Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, hanno registrato una spesa pari al 18%. Il 23% deludente; il 18% sconfortante.

Sinora, l’unica misura presa, su forte pressione del Ministro Provenzano, è la re-introduzione di sgravi contributivi per le assunzioni. Lo sgravio del 30% – non per i contributi Inail – dovrebbe entrare in vigore il 1° ottobre 2020, dopo una verifica con la Commissione europea. Mira a diventare strutturale e non si sovrappone ad altre agevolazioni già in vigore (quali l’incentivo triennale all’assunzione giovani e il bonus Sud, introdotti rispettivamente nel 2018 e nel 2019). Sgravi di tale natura sono già stati in vigore (in vario modo) dal 1970 al 1995, ma alla nascita del mercato unico nel 1993, la Commissione sollevò il problema che si trattava di “aiuti di Stato”. Ne seguì la decisione di abolirli gradualmente nell’arco di 7 anni. Studi di valutazione ex-post, compreso un lavoro della Banca d’Italia, hanno concluso che gli effetti occupazionali degli sgravi erano stati quasi nulli e che l’esistenza del beneficio aveva inciso molto modestamente sulle decisioni delle imprese di localizzare impianti nel Sud e delle Isole. Hanno forse, in certi momenti, indotto a localizzare nel sud del Lazio (nelle province di Latina e di Frosinone) alcuni stabilimenti che altrimenti sarebbero stati impiantati nella periferia di Roma. Inoltre, i lavoratori beneficiari dovranno avere chiaro che ciò comporterà una riduzione delle loro future pensioni.



Si vagheggia molto di programmi nel settore dei trasporti, ma a quel che si sa si tratta di mere idee piuttosto vaghe, prive di un supporto analitico quale uno studio di fattibilità, ancorché preliminare, che ne delinei la caratteristiche tecnico-ingegneristiche, finanziarie ed economiche e tenga conto delle varie modalità.

Di questi programmi, senza dubbio, il più fantasioso è quello, annunciato dal Presidente del Consiglio in persona, di un tunnel sotto lo stretto di Messina. Il tunnel sotto la Manica richiese oltre dieci anni preparazione, il Governo britannico, allora guidato da Margaret Thatcher volle che fosse finanziato e gestito da privati, e furono necessari circa tre lustri di operatività prima che l’intrapresa fosse in utile. In un paio di occasioni, si temette che l’azienda fallisse.

Rispunta, quindi, l’alta velocità sulla tratta Reggio Calabria-Roma. Oggi, la tratta si percorre in Freccia Bianca in poco più di cinque ore. Occorre studiare attentamente quale potrebbe essere il carico potenziale dato che il traffico passeggeri è soprattutto tra le stazioni intermedie. In effetti, si tratterebbe di un treno veloce, che toccherebbe i 160 chilometri all’ora ben al di sotto dei 260-300 chilometri all’ora della “alta velocità” in senso stretto.

InvestItalia, la struttura alle dirette dipendenze di Giuseppe Conte a palazzo Chigi, propone una ferrovia, non ad alta velocità, che dovrebbe chiamarsi la Diagonale del Mediterraneo per il Sud. Una rete nuova, che partirebbe da Brindisi: dritta verso Taranto, poi in Basilicata dove toccherebbe Metaponto, Matera e Potenza, e infine verso il Tirreno per confluire nella linea ad alta velocità Napoli-Salerno. Una seconda diramazione attraverserebbe la parte settentrionale della Calabria, scendendo lungo la costa ionica per poi attraversare in diagonale la Regione lungo la direttrice Sibari-Paola, nel cosentino. E un altro tratto, sempre in Calabria, percorrerebbe l’intero versante che si affaccia sullo Ionio, da Sibari fino a Reggio Calabria. Anche in questo caso, lo studio ingegneristico è ai primordi e non c’è traccia di analisi economica e finanziaria. Altra idea è il Quadrilatero, di cui ha parlato anche La Rivista Economica del Mezzogiorno: collegherebbe i porti di Napoli-Reggio Calabria-Taranto-Bari. Se ne sa poco o nulla.

Il mio cognome indica la mia provenienza da Acireale, in provincia di Catania. Ciò che più rattrista è la povertà di idee alla vigilia di una grande opportunità.