Non ha retto il colpo. Il peso, il suo infinitesimale peso, anche se solo di dimensione virtuale, pare sia bastato per rallentare il proprio cammino sul mercato delle cosiddette (e ormai troppo comuni) criptovalute. Stiamo parlando di Libra, ovvero la nuova e recente sfida lanciata dal fondatore di Facebook Mark Zuckerberg. Nel corso delle ultime 48 ore – l’idea – ha trovato interlocutori solo “contrari” alla sua nascita. Librare in altitudine è molto difficile soprattutto se non si è ancora partiti e se l’ambiente circostante non offre condizioni ideali. Le titubanze c’erano, ci sono tuttora, e rimarranno sia in termini di mezzo che di fine stesso.
Il pubblico accusatore si è succeduto nel seguente ordine: alcuni membri della commissione Bancaria del Senato americano, gli stessi Senatori repubblicani, i ministeri delle Finanze di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, il Governo tedesco, il Presidente Donald Trump in prima persona con il suo più criticato braccio finanziario Jerome Powell, e ora, nel corso di queste ultime ore, anche l’intero parterre del G7 organizzato a Chantilly.
Bruno Le Maire, ministro dell’Economia francese, nel suo incontro con la stampa, ha sentenziato su Libra: «Non può diventare una valuta sovrana». Le successive spiegazioni da lui stesso fornite rappresentano un vero e proprio capo di accusa: «Ci sono una serie di requisiti, di regole che hanno le valute sovrane e che non sono rispettati dal progetto Libra. Prima di tutto è un problema di sovranità: non possiamo accettare di avere una nuova valuta con lo stesso potere di una valuta sovrana, ma senza le stesse regole, impegni e obblighi. Senza considerare che abbiamo speso molti anni prima di avere regole condivise sull’antiriciclaggio e il finanziamento del terrorismo che il progetto di nuova valuta non rispetta».
La puntualizzazione finale è un vero e proprio messaggio corale nei confronti del diretto interessato fondatore di Facebook e di David Marcus – delfino di Zuckerberg – e rappresentante dell’intero neoprogetto. La sede del G7 «è il posto giusto, con la giusta tempistica e le persone adatte, ministri e governatori per un’analisi attenta e approfondita alle regole necessarie e ai rischi associati con questo progetto».
Nel frattempo, l’intera comunità finanziaria che approva, sostiene e condivide i vantaggi del nuovo “mondo cripto” nella sua totalità, aveva risposto con entusiasmo all’annuncio da parte di Mark Zuckerberg del giugno scorso. Prendendo come riferimento il più noto Bitcoin – dalla data del comunicato – si può facilmente rilevare un balzo delle stesse quotazioni: dagli allora 9.000 dollari, nell’arco di solo sette sedute, si sono registrati nuovi massimi annuali fino a sfiorare quota 14.000 dollari (con un massimo intraday a 13.826). Successivamente, a seguito dei primi cenni di “ostilità” da parte degli stessi interlocutori istituzionali, i corsi hanno ripiegato fino a capitolare agli iniziali e attuali valori (nella giornata di ieri si è registrato un minimo intraday di poco superiore ai 9.080 dollari). Nel corso del 2019, la capofila (per capitalizzazione) delle criptovalute, vede una rivalutazione esponenziale: dai circa 3.750 dollari di fine 2018 si sono visti i precedenti massimi (a 13.826) per gravitare all’attuale area in prossimità di 9.000 dollari.
Troppa la volatilità per questo “strumento finanziario” (le virgolette sono obbligatorie), come appaiono troppe le incognite all’orizzonte per il neonato ingresso a marchio e per mano di Zuckerberg & Co.
Fino a quando non si concretizzerà un vero e proprio intento nel legiferare questo “fenomeno valutario”, ogni altro potenziale new deal, rappresenterà solo attimi di immotivata euforia.
Per il momento siamo a un primo game over. Non ci resta che attendere una nuova partita. Insert coin.