Nel dibattito sul Mes, i favorevoli alla ratifica della riforma hanno collocato il suo utilizzo in un futuro per lo più indistinto. I rendimenti delle obbligazioni statali delle ultime settimane e in generale quanto messo in atto dalle Banche centrali negli ultimi decenni hanno rafforzato questa impressione. In realtà, lo scenario di un possibile ricorso al Mes è infinitamente più “attuale” di quanto potesse sembrare e bene ha fatto il Parlamento a non ratificare la riforma.
Per capire questa prospettiva dobbiamo alzare lo sguardo e uscire da quanto si dice sulla rotta Italia-Ue. Il tema che si sta ponendo in questi mesi è la sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi sviluppati a partire da quello americano. Druckenmiller, gestore di fondi hedge leggendario, ne parla da qualche anno in alcuni dei principali college americani. Recentemente si segnalano alcune dichiarazioni del Ceo di Jp Morgan, la principale banca americana con i suo rapporti unici, storici e contemporanei, con la Fed.
Jamie Dimon, infatti, ci ha ricordato che il deficit americano, due anni dopo la fine della pandemia, è il più alto di sempre, escludendo i periodi di guerra. Dimon ha paragonato la dipendenza del sistema dal deficit a quello di un eroinomane. Le citazioni a questo proposito, incluse quelle di Fink, Ceo di Blackrock, si sprecano. Il deficit americano non solo si espande a livelli mai visti, ma all’orizzonte non si vede alcuna inversione. Le spinte demografiche, con l’invecchiamento della popolazione e la denatalità, hanno appena iniziato a farsi sentire.
Negli ultimi due anni gli investitori si sono accontentati di rendimenti sulle obbligazioni statali sensibilmente sotto l’inflazione, ma questa non può essere la norma. Se i governi, a partire da quello americano, continuano a spendere in questo modo, prima o poi gli investitori si accorgeranno che i rendimenti offerti dai titoli di Stato non sono sufficienti a coprire l’inflazione. Prima o poi il mercato “chiamerà il bluff” e chiederà rendimenti più alti. Questa inversione in un contesto di debiti pubblici ai massimi di sempre può causare grande volatilità sul mercato dei debiti pubblici. Alcuni episodi di questa storia, nel Regno Unito e in Giappone, si sono già visti.
Una Banca centrale, di fronte a questa marea che monta, ha due opzioni per contenere la volatilità: può monetizzare il debito, salvando il mercato obbligazionario e i sistemi bancari e finanziari al prezzo di distruggere la sua valuta facendo esplodere l’inflazione; oppure può salvare la valuta e distruggere il mercato obbligazionario, facendo pagare ai detentori del debito lo scoppio della bolla sui debiti sovrani. Avendo in mente un po’ di storia, la scommessa dovrebbe cadere sulla prima opzione.
In Europa c’è una terza opzione perché c’è una valuta comune e debiti statali singoli per ogni Paese. Su questa anomalia, mai sanata dopo 30 anni di euro, si possono giocare partite interne, in cui la debolezza di uno Stato membro diventa un’opportunità per un altro, o dall’esterno per creare frizioni. La terza opzione, che esiste solo in Europa, è salvare sia la valuta che il mercato obbligazionario comune scaricando i problemi su un solo Paese membro. Il sacrificio singolo o un sacrificio molto più che proporzionale imposto a un singolo membro consente, almeno per un po’, di salvare la valuta di tutti e anche molti mercati obbligazionari su cui, ovviamente, insistono i risparmi degli abitanti di quei Paesi.
Dunque, nel dibattito sul Mes bisogna tenere conto che il debito pubblico americano sta andando fuori giri come mai si sarebbe immaginato in tempo di pace; quello francese è forse in una situazione peggiore di quello italiano e al coro, a partire dalla guerra in Ucraina, sembra essersi aggiunta la Germania, costretta a reinventare il proprio sistema industriale in un contesto geopolitico difficilissimo rimanendo sui binari di una transizione green tanto incerta nei benefici economici quanto certissima nei costi spropositati. Quindi, un eventuale utilizzo del Mes sarebbe attuale, perché è attualissimo il dibattito sulla bolla dei debiti pubblici e perché gli episodi di volatilità che minacciano di farla scoppiare non sono nel futuro ma nel presente.
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