Proponiamo un classico esempio di botta e risposta nel quale l’ostinata ricerca della verità porta con sé il veritiero riscontro in capo a ciascun interlocutore. Di fatto si potrebbe prefigurare una sorta di pareggio a cosiddette reti inviolate, ma in questo caso la vittoria (sinonimo di verità) è da attribuire a entrambi i “contendenti”: un accademico win-win con sfida a futura data da destinarsi.



Dopo questa nostra imparziale valutazione lasciamo, però, a voi l’onere di un eventuale (contrario) verdetto: «lo spread, tanto caro a molti, è stabilmente sotto i livelli che c’erano prima che questo governo si insediasse». Replica: «Lo spread non è più un indicatore sufficiente per valutare il costo comparato del debito pubblico». Qualche obiezione in merito? Rispondiamo noi: molto probabilmente nessuna poiché ciascuna affermazione risulta corretta e oggettivamente verificabile.



Nel merito, queste due riflessioni sono parte di dichiarazioni rilasciate in queste ultime ore da illustri rappresentanti ed attori del Paese Italia. Le prime sono le parole della Premier Meloni che, ieri, durante le comunicazioni all’Aula del Senato in vista del Consiglio europeo ha espressamente sottolineato come: «Le nuove regole devono mirare ad una riduzione del debito in modo graduale e sostenibile, solo così potranno essere credibili e applicabili, superando gli errori del passato. Lo possiamo dire dall’alto della credibilità dimostrata in questo anno, con politiche fiscali e di bilancio serie e responsabili come mostra la fiducia dei risparmiatori, come si vede dal successo dei nostri titoli di Stato, che dei mercati – Piazza Affari è tornata ai livelli precrisi e lo spread, tanto caro a molti, è stabilmente sotto i livelli che c’erano prima che questo governo si insediasse». Il secondo approfondimento, invece, è stato estratto dalla risposta data dal presidente Abi, Antonio Patuelli, durante l’intervista rilasciata (pubblicata lunedì) al quotidiano Il Sole 24 Ore: «È fondamentale mettere un tetto massimo al debito pubblico in cifra assoluta, altrimenti dal 1967 la cifra assoluta cresce mentre il calcolo di proporzione al Pil è un indicatore di troppa mobilità e non riflette quanto costa ogni incremento in termini di interessi da pagare. Lo spread a 200 punti base sembra basso rispetto alle punte di 15 anni fa, ma questo effetto è dovuto al fatto che sono saliti i rendimenti dei bund tedeschi. La Germania non è più la locomotiva europea con tassi a zero e ha un considerevole debito pubblico. Lo spread non è più un indicatore sufficiente per valutare il costo comparato del debito pubblico. Il rendimento dei titoli di Stato italiani a 10 anni è attorno al 5%, è il più elevato nell’Ue anche sopra Spagna, Portogallo e la Grecia».



Entrambi gli interlocutori hanno pienamente ragione e, prescindendo alla puntuale verifica dei numeri, la realtà dei fatti è sotto gli occhi di tutti noi. Paradossalmente, se di paradosso si può parlare, su queste stesse pagine abbiamo evidenziato il significativo rilievo posto dal Presidente di Abi. Era febbraio e il nostro inciso era il seguente: «Lo spread non sembra essere più un indicatore affidabile rispetto al vero problema che incide sui conti pubblici: il rendimento dei titoli di Stato». Letto questo, oggi, farebbe pensare a un nostro riepilogo post-intervista dell’importante rappresentante Abi. Invece, essendo un evidente (almeno per noi) elemento di potenziale distonia informativa avevamo posto l’attenzione su questa ipotesi.

Ammettiamo che, a distanza di alcuni mesi, apprendere da altri soggetti (ovviamente ben più blasonati) il medesimo concetto va sicuramente a vantaggio dei lettori. Inoltre, a ulteriore conforto e, pertanto, ad alimentare un “altro” eventuale paradosso, sono le considerazioni sottostanti alle sempre citate osservazioni del presidente Patuelli: quel suo rimarcare relativo all’andamento dei titoli di Stato tedeschi (rif. «è dovuto al fatto che sono saliti i rendimenti dei bund tedeschi» ha visto in passato soffermare la nostra attenzione: lo scorso marzo, a seguire ad aprile e, per non farci mancare nulla, anche più recentemente, ovvero poche settimane fa.

Come dimostrato i numeri e, quindi, gli stessi fatti erano davanti agli occhi di tutti. Bastava guardare, andare oltre e sollevare “il problema” (prima) e non come spesso accade solo dopo. Il monito del Presidente Patuelli è sicuramente stato tempestivo. Da non dimenticare e, soprattutto, da non sottovalutare: in ogni sede. Un errore di valutazione potrebbe costare caro allo Stato italiano sia in termini di credibilità che in ambito monetario: ieri, l’esito delle aste di titoli di Stato (Btp a 2 e 5 anni) che si sono concluse, ha rappresentato l’ennesimo aggravio per la tesoreria Italia, infatti, a fronte di una domanda elevata (entrambi con un rapporto di copertura oltre l’1,5) il rendimento finale ha registrato un rialzo: +3,99% (+2 punti base) il titolo a due anni con scadenza 29 settembre 2025 e +2,24% per il quinquennale Btp indicizzato (scadenza 15 maggio 2029).

Oggi assisteremo agli aggiornamenti sulla nuova asta Bot così come, al termine del mese, l’informativa sul collocamento di strumenti cosiddetti di medio-lungo termine. Lo spread è lì, costante, e in suo apparentemente innocuo quieto vivere. Anche i rendimenti dei nostri titoli di Stato risultano imperturbabili, costanti, nel loro progredire. Una costosa progressione che lo spread non dice. Ma, a questo (fortunatamente) ci penseranno altri.

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