La Federal Reserve ieri, come da attese, ha alzato i tassi di 25 punti base per la prima volta dal 2018. La Fed oggi si aspetta altri sei rialzi nel corso del 2022 confermando le stime del mercato che si era portato avanti rispetto alle proiezioni che la banca centrale aveva dato a dicembre quando si stimavano solo tre rialzi nel corso del 2022.
Lo scenario è quello di un mercato del lavoro in cui le società fanno molta fatica a trovare offerta e di un’inflazione ai massimi degli ultimi 40 anni; l’inflazione che si è vista fino a febbraio non incorpora gli effetti della guerra in Ucraina, né i recenti lockdown in alcuni distretti strategici in Cina che non sembrano estranei alla “guerra economica” in corso. In questo scenario la Federal Reserve interviene per riequilibrare il mercato del lavoro e per provare a contenere un’inflazione galoppante; i numeri ufficiali sugli aumenti dei prezzi sottostimano, tra l’altro, l’effetto subito da famiglie e consumatori con i rincari che si concentrano sui beni meno discrezionali.
La reazione a un intervento meno accomodante nei toni di quello che il mercato si aspettava è stata interessante. Dopo un iniziale calo dei principali indici azionari e dell’oro il trend si è invertito e il mercato ha chiuso ai massimi di giornata. La spiegazione, coerente con il movimento dei rendimenti obbligazionari, è che alla fine di questo ciclo di rialzi la Fed sarà costretta a ritornare a una politica molto accomodante per contrastare la recessione. La recessione è il prodotto sia delle dinamiche che si stanno sviluppando in questi mesi, la guerra commerciale, l’instabilità geopolitica e la rottura delle catene di fornitura globale e dei commerci internazionali, sia delle politiche monetarie restrittive che la Fed si appresta a varare. In questo senso all’equazione si potrebbe anche aggiungere la riduzione del bilancio della banca centrale. Il mercato potrebbe prezzare quindi un errore di politica monetaria della Fed che ha aspettato troppo ad alzare i tassi, che oggi li alza appena prima di un probabile rallentamento economico e che alla fine dovrà correre ai ripari stampando.
Questo potrebbe spiegare la reazione del mercato in un contesto in cui, per ora, c’è ancora abbastanza liquidità e in cui gli investitori sono terrorizzati di rimanere fuori e assistere a rialzi di cui non beneficiano. Il rischio è sempre quello di un movimento violento al rialzo che mette fuori gioco chi ha venduto. Le condizioni però sono molto diverse oggi e non è chiaro che solchi verranno scavati nei bilanci delle imprese e delle famiglie soprattutto in Europa dati i suoi rapporti economici strettissimi con la Russia. Se è vero che il mercato scommette su un errore di politica monetaria che costringerà la Fed a tornare sui propri passi in un orizzonte temporale non troppo distante è anche vero che nessuno può essere sicuro di cosa succederà “in mezzo”. Quali siano le condizioni economiche e finanziarie in America e in Europa da cui prenderà le mosse il ritorno della Fed a politiche espansive non è affatto chiaro.
Il rischio è che il percorso possa essere molto più turbolento e la crisi più acuta soprattutto in Europa e dentro l’euro che rimane una costruzione incompleta i cui difetti di costruzione verranno esplorati dagli investitori. Questo potrebbe essere l’errore dei mercati. Tre settimane di indigestione informativa sulla guerra in Ucraina hanno falsato la percezione del tempo che scorre. Sembra che siano passati mesi perché non si parla d’altro tutto il giorno e tutti i giorni com’è comprensibile. In realtà le conseguenze economiche di quello che è accaduto si devono ancora svolgere e, anzi, da questo punto di vista non è ancora successo niente. In questo clima l’impressione è che si usino ancora schemi “normali” in una situazione che è invece completamente anormale e che rappresenta una rottura violenta dello status quo.
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