Sembrano tutti entusiasti al governo. Euforia per l’arrivo della prima insignificante tranche del Recovery Fund, come fosse la manna dal cielo, mentre sono solo i soldi dell’Ue che ci abbiamo messo noi e che ripagheremo completamente, come se non fossero nostri. Soldi che ripagheremo a caro prezzo, non in termini di interessi ma in termini di cessione di sovranità, cioè concretamente in scelte di politica economica e fiscale.



Ma questa è una storia già detta, e non solo dal sottoscritto. Quello che invece poco, anzi nulla viene detto (soprattutto dai politici) è l’aria nuova che si respira sui mercati finanziari, o probabilmente sta un pochino cambiando l’aria stantia delle dichiarazioni ufficiali, quando queste non corrispondono più alla realtà. Le dichiarazioni ufficiali a cui mi riferisco sono quelle della Fed, la quale si è spesa in tutti questi anni, come la Bce, per far crescere l’economia (con la stampa di moneta, assecondando la stupida idea che basti la stampa di moneta a far crescere l’economia). E ha atteso per anni il primo vagito di una reale crescita dell’economia, una crescita, non fittizia, non drogata dai fiumi di denaro, attraverso il segnale dell’aumento dell’inflazione. Un primo vagito che con gli ultimi dati è diventato un grido sempre più chiaro.



Ma per la Fed no. Per la Fed questa inflazione “è temporanea”, non vede pericoli, non c’è motivo per alzare i tassi di interesse. Anche se il dato dell’inflazione è stato confermato e ha raggiunto la ragguardevole cifra del 5%.

Quello che la Fed non dice è quello che sta accadendo sui mercati finanziari, in particolare su quello di certe materie prime, dove la crescita è stata impetuosa nell’ultimo anno. E quindi non è un problema americano: se ne sta parlando anche in Italia, ne ha parlato anche il sito “Industria Italiana” con un articolo dal titolo “Prezzi materie prime alle stelle: che fare, che cosa cambia per l’Industria”. E su tutti vale la materia prima per eccellenza, il petrolio; lasciamo stare il tonfo causato dal Covid: prima e dopo il periodo marzo-aprile 2020 si trovava intorno ai 35 dollari al barile, ma da ottobre 2020 a oggi non ha fatto altro che salire, fino ad arrivare agli attuali 73 dollari, e la spinta in ascesa non sembra minimamente in discussione. E se cresce il petrolio, allora cresceranno tutti i costi delle merci che devono essere trasportate. I servizi invece hanno bisogno di uffici, cioè di ambienti riscaldati, quindi ancora di petrolio o affini.



E lo stesso articolo citato di “Industria Italiana” ha come sottotitolo “Quotazioni previste in rialzo ancora per lungo tempo. La supply chain post-Covid si è scoperta vulnerabile. L’incidente del Canale di Suez o l’attacco hacker all’oleodotto americano hanno mostrato come il Coronavirus abbia ridotto ai minimi le scorte. E ora che stiamo ripartendo servirebbe avere a disposizione maggiore profondità di magazzino. La Cina si sta ulteriormente arricchendo, i dazi non sembrano poter sparire in tempi brevi. E l’Europa non sa che pesci pigliare”. Più chiaro di così.

Ma le banche centrali non sono vittime di questa situazione, bensì ne sono le principali artefici. Non solo perché da anni hanno creato abnormi quantità di denaro finito quasi tutto nei mercati finanziari. Ma anche spianando la strada a iniziative che a dir poco lasciano senza parole, come la decisione di autorizzare sul mercato finanziario lo scambio di contratti speculativi sull’acqua potabile, come se fosse un prodotto finanziario qualsiasi come tanti altri. Per la precisione, la Fed ha taciuto alla notizia di un accordo tra CME Group e Nasdaq (i due più grossi mercati finanziari americani e tra i tre più grandi al mondo, includendo anche la borsa di Londra) per la nascita del Nasdaq Veles California Water Index (NQH2O), un indice che rispecchia settimanalmente il prezzo dei diritti di sfruttamento dell’acqua in California. 

Perché in California? Gli Stati Uniti sono il secondo Paese al mondo per consumo di acqua – primo se si considera il consumo pro-capite – con una stima di 322 miliardi di galloni al giorno, equivalente a circa 1.200 miliardi di litri. In questo contesto, la California, terzo Stato federato per estensione e primo per numero di abitanti, rappresenta la regione che utilizza più acqua in assoluto, essendo responsabile del 9% del consumo giornaliero totale degli Stati Uniti. Quindi si inizia dalla California, ma la strada è ormai spianata.

Ovviamente, la descrizione della narrativa ufficiale è sempre la stessa: “La nascita di questi contratti potrebbe cambiare le carte in tavola, almeno per le persone più danneggiate da questa situazione. Questi strumenti, infatti, sono stati pensati principalmente per aiutare i grandi consumatori di acqua, come le aziende agricole o le imprese elettriche, a proteggersi da queste continue oscillazioni di prezzo. Ad esempio, il CME Group riporta che il 40% dell’acqua attualmente consumata in California viene utilizzata per irrigare i suoi nove milioni di acri di campi coltivati. In questo scenario, i Nasdaq Veles California Water Index Future consentirebbero a un produttore agricolo di pianificare in anticipo i costi e la quantità d’acqua di cui ha bisogno per l’irrigazione su larga scala. Questa novità, quindi, contribuirebbe a rendere il prezzo dell’acqua più prevedibile e, allo stesso tempo, a generare contrattazioni più trasparenti e meno rischiose”.

I future nascono sempre con questo tipo di intenzioni e per lungo tempo hanno davvero funzionato così. Allora dov’è il problema? Il problema si verifica quando le oscillazioni di prezzo non sono più determinate dalle necessità reali, ma dal volume degli affari sui mercati finanziari, cioè dalla quantità di denaro mossa dai mercati finanziari e dalle succose speculazioni che si attuano anche grazie alla enorme quantità di denaro nelle mani della speculazione, per cui un sistema economico rischia di saltare perché la speculazione ha deciso di fare soldi in un certo modo, incurante dei riflessi del valore di un prezzo sull’economia reale e sul bene comune di un popolo.

Capite perché i pochi miliardi del Recovery Fund sono e saranno una sciocchezza rispetto alle dinamiche finanziarie che si stanno mettendo in gioco? Capite perché è stata una scelta criminale quella politica di non accedere ai mercati finanziari per raccogliere centinaia di miliardi (quelli che i mercati finanziari hanno offerto in quest’ultimo anno per i Btp) per attendere le poche decine che vedremo quest’anno dalla Ue? Una scelta di politica economica criminale, una scelta di cui è responsabile il Governo Draghi, che ha continuato senza deviare le scelte del Governo Conte e che pagheremo tutti noi, anzi stiamo già pagando in termini di calo di fatturato e di disoccupazione.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI