Tra poche settimane sarà tempo di bilanci. Generalmente, in ambito finanziario, la fine di ogni anno è sempre occasione per fare confronti e parallelismi con l’obiettivo di poter valutare i propri investimenti rispetto all’andamento dei mercati. Circoscrivendo le comparazioni e le analisi alla sola sfera degli asset mobiliari, al singolo investitore è ormai consuetudine l’aiuto proposto dalle numerose rassegne stampa dei vari media che organizzano, suddividono, e classificano l’intero “universo” investibile. Nel nostro odierno appuntamento settimanale vogliamo portarci avanti sottoponendo alla vostra attenzione quanto sia accaduto su uno specifico sottostante che “storicamente” viene associato a un vero e proprio bene rifugio: l’oro.



Il metallo prezioso per eccellenza – si legge spesso – viene definito e talvolta idealizzato come sinonimo di sicurezza poiché strumento decorrelato rispetto all’andamento rischioso delle temute azioni oppure come fonte di rendita rispetto alle più conservative obbligazioni. Sono solo e semplici convinzioni che non trovano riscontro nei fatti ovvero nei numeri. Analizzando la serie storica del lingotto (rif. Gold future) comparandola a quella dei mercati finanziari azionari (rif. MSCI World A.C. USD) e obbligazionari (rif. JPM Global Bond Index) appare evidente la miglior performance fatta registrare dall’oro: 100 dollari investiti nel 1999, a distanza di vent’anni, sono diventati oggi (rif. ottobre 2019) 523,79 rispetto ai 195,54 del mercato equity e 226,84 derivante dalla componente bond.



Riducendo l’arco temporale del confronto, si può constatare come 100 dollari investiti a inizio 2008 siano lievitati fino agli odierni 180,76; un ammontare molto più alto rispetto alle due tradizionali componenti (132,53 dollari se impiegati in azioni e 142,54 in obbligazioni). Da entrambe le analisi, l’assioma che l’oro sia un “bene rifugio”, appare inconfutabile, ma – in finanza è sovente – la realtà è ben diversa.

Dal 2013, ovvero il periodo successivo in cui il lingotto ha raggiunto i propri massimi storici (settembre 2011), i corsi hanno subìto una pesante flessione: i teorici 100 dollari sono gradualmente scesi fino a registrare una virtuale quotazione a 63,27 nel 2015 per successivamente recuperare terreno e riportarsi a quota 90,39 grazie alle attuali rivalutazioni in corso d’anno; parallelamente, nel medesimo periodo, l’indice azionario ha incrementato il proprio valore (157,30) così come l’asset class obbligazionaria (108,05). Il “rifugio” non si è dimostrato tale. Questa considerazione può essere inoltre rafforzata andando a osservare gli oltre 40 anni si storia (dal 1976 a oggi) dove si potrà assistere ad anni di pesanti flessioni: -32,81% (1981), -14,35% (1983), -20,18% (1984), – 15,67% (1988), -10,35% (1991) e -21,48% nel 1997. Abbiamo tralasciato altri singoli anni (nello specifico 8) con minusvalenza sotto le due cifre.



Appare inoltre interessante come, scrutando la stessa serie storica, gli odierni prezzi dell’oro sembrano coincidere con quanto accaduto in passato: la dinamica grafica dell’arco temporale compreso tra il 1976 e il 1983 è molto simile a quella degli ultimi vent’anni. Questa nostra considerazione deriva essenzialmente da una comparazione di pattern grafici (v. riquadri) che appaiono sovrapponibili.

Da quanto riportato in questa nostra sommaria (volutamente) sintesi, emerge un fattore da non sottovalutare: nel corso degli ultimi 20 anni, la performance riconducibile all’investimento obbligazionario, ha premiato maggiormente il proprio investitore rispetto all’”azionista internazionale” sia in termini quantitativi (performance assoluta) che qualitativi (volatilità, draw down, VaR).

L’insieme delle nostre rilevazioni potrebbe far impallidire il famoso e storico studioso dell’analisi intermaket John J. Murphy, celebre autore (nel 1991) del testo Intermarket Technical Analysis: Trading Strategies for the Global Stock, Bond, Commodity and Currency Markets.

Ormai giunti a questo momento storico dove ci si trova a osservare mercati finanziari sui propri massimi storici e rendimenti obbligazionari ai minimi, l’investitore potrà trovarsi spaesato, affidandosi passivamente al miraggio del lungo periodo (quanto lungo?) quale scusa comportamentale per giustificare il proprio disorientamento ed eventuale errore. Per ovviare a questa potenziale casistica, noi in prima persona, proporremo prossimamente una nostra metodologia di approccio all’investimento che sicuramente renderà tutti maggiormente consapevoli e, con auspicata buona probabilità, più soddisfatti.