Le polemiche sul Mes, il presunto trattato salva-Stati, stanno infiammando il dibattito politico di questi giorni. Sulla questione vorrei dare ai lettori alcuni punti fermi per poter giudicare rapidamente la questione. Il primo punto è che è vero che la questione posta in essere da quel trattato è gravissima. Se ci fosse un tribunale “mondiale” che giudica i trattati internazionali, ci sarebbe una condanna perché si mettono a rischio tutti i conti correnti (in modo indiretto) consegnando al Mes il potere di chiedere ai governi “somme illimitate” per salvare banche in crisi.



Il secondo punto (lo dico in termini paradossali) è vero che la questione non è gravissima. Sì, lo so che ho appena detto il contrario del primo punto, ma il fatto è che siamo già fregati in qualche modo: basti pensare che già ora c’è una qualche autorità che ha il potere di bloccare o porre limiti a tutti i bancomat di un Paese; in Grecia lo hanno già sperimentato (e pure in Vaticano, al tempo di papa Benedetto). Il Mes io lo definirei semplicemente l’ennesimo chiodo sulla bara dei popoli europei.



Il terzo punto è che per l’opposizione al governo giallorosso questa è stata l’occasione per una brillante (e facile) vittoria politica, poiché comunque vada (Mes o non Mes) non finirà bene (non passerà la crisi) e quindi sarà facile dire dopo “avete visto che disastro? Noi l’avevamo detto”.

Il Mes è un meccanismo delirante per il quale uno Stato come l’Italia potrebbe contribuire con 125 miliardi (totali, avendo già contribuito con circa 40) e dal quale potrebbe essere escluso a priori. Si tratta poi di un meccanismo per salvare le banche private, non gli Stati. Certo, se una banca importante fallisce pure lo Stato entra in difficoltà, comunque sia il meccanismo del Mes entra in funzione a favore delle banche, non degli Stati.



Infine, il Mes in fondo dimostra che Draghi nel 2012 col suo “whatever it takes” non ha salvato proprio nulla, ha soltanto reso irreversibile il meccanismo di fallimento della Bce insieme all’euro. L’unica possibilità che personalmente ho intravisto, anche se irta di ostacoli politici, è quella di dare alla Bce un altro obiettivo insieme a quello della “stabilità dei prezzi”: quello della piena occupazione, proprio come l’americana Fed. Con tale obiettivo dichiarato, avrebbe potuto iniziare una collaborazione fattiva con i governi dei vari Paesi per l’attuazione di politiche economiche, finanziarie e monetarie utili allo scopo della piena occupazione, arrivando a stampare moneta per tali precisi obiettivi.

La Bce è stata fondata e ancora oggi opera in base a un radicale pregiudizio: che il bene dell’economia sia il bene della finanza e viceversa. Quindi la Bce ha il pregiudizio che per fare il bene dell’economia sia sufficiente difendere a spada tratta la finanza (tutta la finanza, pure quella speculativa). Quello che non ha chiarito alla sua fondazione è che posizione prenderà nei casi in cui il bene dell’economia e quello della finanza divergono: lo ha però chiarito in seguito, nell’azione concreta, prendendo sempre e comunque le difese delle banche e della finanza e “accusando” gli Stati per i guasti dell’economia.

Ora però i nodi arrivano al pettine, la crisi economica avanza e la Bce è priva di armi adeguate. Il Governo si è castrato nella sua possibilità di azione a causa dei trattati sottoscritti (e che gli altri osservano a seconda del proprio tornaconto). A parte il gioco facile, per l’opposizione non c’è all’orizzonte niente di buono da scrutare.