Nulla può essere certo nella fase caotica che stiamo vivendo. Ma ci sono fatti che puntano tutti in una certa direzione. E questi fatti sono la chiara sconfitta della posizione del Governo italiano in Europa. Una posizione che ufficialmente prevedeva niente Mes e utilizzo degli Eurobond per venire incontro alle necessità degli Stati. Ma gli Eurobond non esistono e non potevano essere accettati politicamente dai Paesi del nord, mentre invece il Mes già c’è.



Qualcuno dirà: ma è un Mes “light”, un Mes alleggerito dalle condizioni e dedicato alle spese sanitarie. Una presa in giro da un punto di vista logico e verbale, perché sarebbe un Mes senza condizioni ma con la condizione… che il denaro venga utilizzato per le spese sanitarie. Ci sarebbe da fare anche un’altra considerazione: il Governo, almeno a parole, ha messo in campo prima 350 miliardi e poi 400; allora perché andarsi a impiccare col Mes per miseri 36 miliardi? Non si capisce proprio, se non ipotizzando una volontà precisa, che a questo punto non riguarda più il bene del popolo o la sostenibilità dei conti pubblici, ma chissà quali trattative tra i personaggi che hanno trattato la faccenda e gli interessi di chissà quali altri personaggi che ora non compaiono sulle prime pagine dei giornali.



Ci sono davvero tanti aspetti inspiegabili in questa strana storia. C’è un’indiscutibile ricchezza privata da poter far entrare in gioco per risolvere alla grande la difficile situazione. Penso ai circa 1.400 miliardi in depositi, che potrebbero essere invogliati da titoli di Stato pensati proprio per i piccoli risparmiatori (tipo i Bot). Lo Stato potrebbe facilmente raccogliere una somma ragguardevole per poter fare investimenti di cui ora c’è gran bisogno, anzi una necessità estrema. Abbiamo una disoccupazione significativa, da poter impiegare con gli investimenti, realizzati anche con denaro creato dal nulla che non produrrebbe inflazione, proprio perché sarebbe coperto dalla piena occupazione. E ci sono tante opere da completare o da mettere in piedi da zero, come il settore della sanità, depauperato da venti anni di scelte scellerate, o come l’edilizia scolastica, da mettere tutta a norma.



Siamo in pandemia? Non proprio. C’è una situazione molto grave, ma riguarda un’area ben definita (il nord Italia) e riguarda una fascia d’età ben definita (gli over 60). I dati ufficiali parlano chiaro. E ancora più chiari sono in grafici del Ministero della Sanità.

Questi sono i dati fino al 31 marzo, quando i decessi erano già oltre 12mila. Come si vede, al centro-sud i decessi sono nella banda di oscillazione della media degli ultimi cinque anni.

E i dati dell’Istituto superiore di sanità confermano che su 18.641 decessi solo 949 avevano un’età inferiore ai 60 anni (l’età media dei deceduti aveva 79 anni e solo l’1,8% non aveva altre patologie). Questi numeri sono da rapportare a una popolazione di 60 milioni di abitanti e ai dati sulla mortalità ordinaria, per esempio, del 2019, che ha contato circa 650mila decessi in totale per una mortalità giornaliera di quasi 1.800 decessi. E visto che nel nord Italia c’è una situazione straordinaria di mortalità, piuttosto che chiudere tutti in una quarantena che si sta dimostrando inutile occorrerebbe un’indagine sanitaria meticolosa per comprendere cosa sta succedendo e il perché di una mortalità così alta. Un dato appare evidente: dopo aver subito tagli per vent’anni, il sistema sanitario non è stato in grado di gestire un’emergenza ed è andato in collasso. Ma è tutto qui il problema? Non si poteva fare altro, da un punto di vista sanitario? Come mai su oltre 18mila decessi ve ne sono oltre 10mila in Lombardia e ottomila su tutto il resto del territorio italiano, di cui appena 254 nel Lazio?

Certo, questi sono solo aridi numeri e dietro ogni decesso c’è una storia di dolore e sofferenza. Le scelte politiche non sono mai facili e occorreva prendere in considerazione tutti gli aspetti, compreso il danno spaventoso derivante da una quarantena imposta a tutto il territorio italiano, applicata anche dove l’emergenza sanitaria non c’è. Invece in una società scristianizzata come la nostra non si è trovato nessuno che prendesse in considerazione che “è meglio che muoia uno solo piuttosto che un popolo intero”. Siamo tutti così presi dalla frenesia del vivere che non abbiamo tempo di considerare che alla fine la vita finisce e la morte è parte di essa e che non c’è modo di evitarla. La morte è un tabù così radicato che a tutti pare inaccettabile il solo considerare di rischiare la vita personale per rilanciare la vita sociale e l’economia. L’unico valore è l’esistenza biologica e non c’è alcuna considerazione sul valore della vita, cioè sul significato della vita e quindi sul significato della morte come termine della vita. Ci si è dimenticati che l’uomo è un “animale sociale” e che questa sua socialità fa parte della sua esistenza, soprattutto della sua vita spirituale, senza la quale l’uomo si avvicina a un animale.

Siamo in quarantena da oltre un mese e gli oltre 500 decessi al giorno sono lì a dimostrare il completo fallimento della quarantena. Un fallimento preannunciato non solo dal fallimento della quarantena cinese (poi il virus è uscito dalla Cina) e di quella iniziale di Codogno e poi della Lombardia; un fallimento facilmente prevedibile perché la quarantena non può e non potrà mai essere totale: solo per garantire i cosiddetti “servizi essenziali” lavorano e si muovono milioni di persone che devono assicurare tutta la filiera dei prodotti (non solo alimentari) dalla produzione al consumo, fino agli eventuali rifiuti.

A confermare il caos spirituale e morale, è arrivato il caos politico e normativo. Il Governo ha approvato un decreto legislativo che diversi giuristi hanno definito illegittimo e poi è stato di fatto cancellato dal successivo decreto legislativo del 25 marzo scorso, che ha attirato le obiezioni di illustri costituzionalisti perché di fatto consegna la limitazione di libertà costituzionali a un soggetto che di per sé non ha potere legislativo (il ministro o il presidente del Consiglio dei ministri) e abusando dello strumento del Dpcm (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri) ha imposto a tutti norme e comportamenti che contrastano addirittura con le norme costituzionali.

Nessuno può dimenticare che nella nostra Costituzione l’art. 13 sancisce che “La libertà personale è inviolabile”, l’art. 16 che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. Ovviamente tutti puntano l’attenzione sul fatto che si possono adottare limitazioni per “motivi di sanità o di sicurezza”, ma nessuno bada al fatto che questi limitazioni sono e devono essere stabilite da una legge, non da un Dpcm, che qualche giurista ha qualificato come “poco più di una circolare”. Il vulnus giuridico è gravissimo (un Dpcm non viene votato dal Parlamento e non passa al vaglio del presidente della Repubblica) e rischia di portare alla nullità tutte le infrazioni comminate.

A mettere la ciliegina sulla torta di questa serie di violazioni c’è poi l’art. 120 della Costituzione: “La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni [cfr. art.16 c.1], né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale”.

E che dire della cosiddetta “autocertificazione”? Si devono essere accorti in ritardo del fatto che, secondo la legge, l’autocertificazione è un diritto del cittadino e non può essere un dovere. Così hanno cambiato il nome in “autodichiarazione”. E con la pezza hanno peggiorato la situazione, creando tre problemi in un colpo solo: primo, capita di trovarsi su un sito istituzionale dove c’è il link “autocertificazione” e dopo che viene scaricato il cittadino si trova di fronte a un modulo con scritto “autodichiarazione”; secondo, la legge citata (445 del 2000) non riporta in nessuna parte la parola “autodichiarazione” e quindi direi che quel modulo è nullo ed è meglio non firmarlo (io stesso, fermato dai Carabinieri, ho sollevato la questione e ho consigliato loro di non firmarlo); terzo, da un punto di vista linguistico il termine “dichiarazione” vuol dire che io dichiaro qualcosa a qualcuno, quindi “autodichiarazione” dovrebbe voler dire che io dichiaro qualcosa… a me stesso! (cioè mi parlo da solo?). Non deve sorprenderci quindi la notizia che il presidente della Camera Civile degli Avvocati di Prato si è fatto promotore di una iniziativa per denunciare l’incostituzionalità dei vari Dpcm.

In questa confusione giuridica, non è nemmeno chiaro come si riprenderà a fare economia: si dovrà osservare la distanza di sicurezza nei locali? Uno o due metri? In Lombardia due, sembra. Così come sembra sarà obbligatorio indossare le mascherine, anche se non esiste un’autorità che possa imporlo e un’eventuale legge non passerebbe il vaglio della Costituzione. Ma come si fa a fare economia in questa situazione, cangiante da regione a regione?

Questa lunga digressione sulla “confusione” giuridica in atto l’ho fatta per mettere in evidenza un punto: non vi può essere un sano sviluppo economico senza certezza giuridica. E la confusione di questi tempi deve purtroppo far temere che la caduta dell’economia per quest’anno sarà molto più grave di quanto finora pronosticato. Il Fondo monetario internazionale ha previsto per l’Italia una caduta del Pil pari al 9,1%. Sarei curioso di sapere come hanno calcolato il decimale, visto che negli ultimi anni hanno sbagliato le previsioni di interi punti percentuali. Ma temo che abbiano usato il solito strumento statistico, quello che si può usare per calcolare la media del pollo (quello che calcola che in media due persone mangiano un pollo al testa al giorno, anche se uno muore di fame e l’altro sta diventando obeso) e che anche questa volta sfugga loro la complessità del tessuto economico, per cui se uno settore soffre anche gli altri si troveranno poco bene e in qualche caso molto peggio.

Nell’ottusità di formule applicate senza capire la realtà, quelli del Fmi guidati dalla Lagarde fino a pochi mesi fa sono quelli che hanno sbagliato “formula” con la Grecia e hanno portato il rapporto debito/Pil dal 130% al 170%, salvo riconoscere l’errore con una decina di anni di ritardo. Sono gli stessi che rifiutano gli Eurobond e però vorrebbero il Mes applicato all’Italia. E probabilmente l’otterranno, visto il disastro economico che si prepara con la caduta del Pil e la crescita enorme del rapporto debito/Pil. Ma dopo il Mes, si prepara il fallimento dell’euro (chi tirerà fuori tutti i soldi per sistemare il debito italiano? E se non lo sistemiamo, a che è servito?). E non sarà un bello spettacolo.

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