Personalmente trovo molto singolare il dibattito politico sul tema dell’utilizzo del Mes. Singolare il fatto che sia pressoché condiviso l’orientamento per allargare il deficit e il debito pubblico, senza nemmeno prendere in considerazione il problema di come renderlo sostenibile nel tempo.  Ci si accanisce sull’opportunità di come finanziarlo, non in relazione al costo degli strumenti, ma per la presunta cattiveria dei prestatori. Il bello è che, a diverso titolo, il prestatore, ovvero il garante dell’erogazione del prestito e del contenimento degli oneri da sostenere per gli interessi, sono in ogni caso le istituzioni europee.



Partiamo dalle tesi degli oppositori del Mes. A partire dai sovranisti, non solo quelli della destra politica.  Non contestano affatto l’opportunità di aumentare il debito, ma ritengono utile finanziarlo ricorrendo alla emissioni di titoli da far sottoscrivere agli italiani. Un fondo “risparmio della Patria” con rendimenti garantiti dallo Stato. Una cosa tutt’altro che peregrina, premesso il fatto che tale strada è praticabile a condizione che perdurino le deroghe al Patto di stabilità, sospese in via provvisoria dalle istituzioni dell’Ue. E che la Bce garantisca la continuità  degli acquisti sul mercato dei titoli dei Paesi indebitati. Altrimenti il “risparmio della Patria”, come già  accaduto in altri tempi, prende velocemente altre vie.



Nel caso decidessimo di attivare i fondi del Mes, oggi ampiamente più  convenienti per le garanzie fornite in ambito europeo e per l’assenza di imposizioni di vincoli macroeconomici per il loro utilizzo, come dovrebbero essere restituite le rate del prestito sottoscritto? Con  risparmi di spesa pubblica, nuove imposte,  o  più  verosimilmente con l’emissione di nuovi titoli da finanziare con il “risparmio della patria”. Gira e rigira, una discussione che appare assai pretestuosa perché, con varie modalità, il risultato finale è  sempre lo stesso.

Esiste un’ulteriore strada da intraprendere per rendere sostenibile il debito. Quella di utilizzare al meglio le risorse disponibili, senza ampliare in modo irragionevole il debito pubblico. Senza assecondare  a pie’ di lista ogni sorta di rivendicazione proveniente da un Paese iper-patrimonializzato, ma con buona parte dei cittadini propensa alla lamentela per giustificare l’aiuto dello Stato, e  per alzare la quota degli investimenti pubblici e privati. Condizione indispensabile per portare la crescita economica verso la soglia del 2% annuo.



Perché queste sono le uniche condizioni per rendere sostenibile il debito e non dipendere dai prestatori. Siano essi le istituzioni europee o i risparmiatori italiani. Un debito pubblico  che veleggia verso i 3.000 miliardi di euro comporta nel migliore dei casi, quello del soccorso perenne della Bce nell’acquisto dei titoli pubblici,  un onere di almeno 70 miliardi annui di interessi. Risorse che verranno sottratte agli investimenti pubblici, come ampiamente comprovato nella nostra storia recente.

Elementare Watson direbbe Holmes. Siamo in preda a un’autentica deriva ideologica fondata su tre presupposti: che non  ci debbano essere limiti all’indebitamento pubblico; che nel caso dei mancati sostegni europei, gli stati Sansone trascinerebbero nel baratro gli stati Filistei; che l’indebitamento debba servire per soddisfare ogni sorta di rivendicazione economica e sociale, perché  in questo modo si assicura la tenuta della domanda interna, e che onorare i debiti non sia un valore economico e sociale.

Da qui il depistaggio che viene operato dalla nostra classe dirigente politica: niente Mes, una nuova raccolta dell’oro della patria, e risorse a fondo perduto da parte delle istituzioni europee. Trascurando che quest’ultima è la modalità più invadente e condizionata di utilizzo delle risorse prevista in ambito europeo. Un’ideologia da Stato canaglia e voltagabbana. Buona per infinocchiare gli italiani. Ma non illudiamoci che questo possa valere anche per gli altri cittadini europei.